TDoR 2017. Diritti delle persone transessuali: ecco i Paesi più avanti rispetto all’Italia

di Vanessa Tomassini –

Il Transgender Day of Remembrance (TDoR) è la giornata che la comunità LGBT ha scelto per commemorare le vittime dell’odio e del pregiudizio trans-fobico. L’evento si celebra ogni anno il 20 novembre dal 1999, quando Gwendolyn Ann Smith ha dato inizio ad un progetto on line intitolato “Remembering Our Dead”, letteralmente “per ricordare le nostre morti”, dopo che nello stesso periodo del 1998 era stata assassinata a San Francisco Rita Hester e per cui si organizzava una veglia a lume di candele. Quelle immagini delle candele accese, senza grida, senza balletti, ma silenziose e composte, hanno finito per illuminare non solo San Francisco, ma pian piano i Paesi di mezzo mondo, attraverso l’organizzazione di eventi commemorativi per tutte le persone transessuali uccise per mano di qualcuno, o che hanno scelto il suicidio come unica via di fuga da una società che non le riconosce, le isola, le ghettizza portandole ad essere oggi il nuovo “sesso inutile”.
Anche in Italia la data è ben conosciuta dalla comunità LGBT, che organizza in diverse città eventi commemorativi e marce arcobaleno. Nella capitale, presso la Stazione Termini, si ricorda Andrea Oliviero, la trans colombiana trovata morta, vittima di un pestaggio, la notte tra il 28 e il 29 luglio 2013, sul binario 10 della stessa stazione romana. Non mancano eventi celebrativi anche nella centralissima Via San Giovanni in Laterano, ribattezzata come Gay Street. Non sono da meno Sanremo, Imperia, Genova, Milano e Torino con eventi più o meno noti al grande pubblico, che purtroppo continua ad ignorare. Dopo anni di lotte per i diritti civili, se è vero che le persone gay hanno ottenuto nel Paese importanti riconoscimenti in materia di diritti, il transessualismo, in particolare il cambiamento della identità di genere e soprattutto del nome sui documenti in Italia fa ancora riferimento alla legge n.164 del 14 aprile 1982 che consente la modifica dell’atto di nascita e di tutti i documenti, solamente dopo che sia stato seguito un iter legale, medico e psicologico e soprattutto dopo che sia avvenuto l’intervento chirurgico di ri-attribuzione dei caratteri sessuali principali.
A tal proposito Francesca, una ragazza transessuale di Milano, ci spiega che: “In Italia, una persona che non si riconosce nel suo sesso di nascita è costretta a mille peripezie. In primis deve rivolgersi ad uno psichiatra che le diagnostichi la disforia di genere, ossia un disturbo mentale, psichiatrico. Solo dopo questa certificazione può rivolgersi ad un endocrinologo per avviare una terapia ormonale, che consiste nell’assunzione di estrogeni ed antiandrogeni per le trans che da uomo scelgono di diventare donna (MtF), o di testosterone per i trans che da ragazze diventano uomini. Successivamente, o in accompagnamento alla terapia ormonale, la persona transessuale MtF può sottoporsi a trattamenti estetici-chirurgici, come la rimozione di peli e barba, aumento del seno, femminilizzazione del viso e ritocchini vari. Nonostante questi interventi siano indispensabili per la riuscita del percorso, essi sono considerati come chirurgia estetica e sono totalmente a carico del paziente”. Effettuato il trattamento ormonale, secondo la stessa legge la persona transessuale può richiedere al Tribunale di residenza, l’autorizzazione agli interventi chirurgici di conversione sessuale irreversibile, ossia la penectomia, orchiectomia e vaginoplastica per le trans; la mastectomia, istero-annessiectomia, falloplastica per i trans FtM. Una volta ottenuto il consenso del giudice, la persona transessuale ha diritto all’intervento sui genitali a carico del Sistema Sanitario Nazionale. “E non è mica finita qua – prosegue la nostra nuova amica Francesca – una volta che l’intervento è andato a buon fine e dopo che hai letteralmente buttato sangue, devi rivolgerti di nuovo al tribunale per chiedere la rettifica di tutti i documenti, compresi i diplomi, le lauree, la patente, il passaporto…”. Un percorso lungo e difficile, insomma, fatto di sofferenze fisiche, ma anche psicologiche e soprattutto di costi ed inutili lungaggini burocratiche.
Ma è dappertutto così?
In occasione del TDoR 2017, Notizie Geopolitiche ha voluto fare una lista di Paesi, vicini e lontani, “più avanti” rispetto all’Italia in relazione ai diritti delle persone transessuali. Se è vero che nella maggior parte dei Paesi europei la situazione è molto simile alla realtà italiana, in Spagna ed Inghilterra la legge prevede che è possibile chiedere la rettifica dei propri dati anagrafici solamente dietro la certificazione di un medico attestante il disturbo della disforia di genere, ma non è reso necessario l’intervento chirurgico di conversione dei caratteri sessuali. Anche in Grecia, è stata adottata di recente una legge che permette alle persone transgender di ottenere il cambio dei documenti, a partire dal compimento dei 15 anni di età, senza che sia stato compiuto il percorso chirurgico. Nel 2015, il governo di Malta ha adottato la legge sull’identità di genere, l’espressione di genere e le caratteristiche sessuali, che ha fornito una procedura semplificata che rispetti la privacy della persona che richiede che i propri documenti ufficiali siano modificati per riflettere il genere scelto e riconosce che “l’identità di genere è considerata una parte inerente di una persona che può o potrebbe non aver bisogno di un trattamento o terapia ormonale o chirurgica”. Il governo di Malta ha anche sottolineato che “le caratteristiche sessuali di una persona variano in natura e tutte le persone devono essere autorizzate a prendere le loro decisioni che influenzano la loro integrità e autonomia fisica”. La legge si allontana da quel concetto di identità di genere come una patologia che necessita di una diagnosi, affermando che alle persone “non è richiesto di fornire la prova di una procedura chirurgica per la riassegnazione genitale totale o parziale, terapie ormonali o qualsiasi altro trattamento psichiatrico, psicologico o medico”. La stessa linea è stata adottata qualche anno prima dalla democratica Danimarca, l’unico Paese europeo che non ha mai richiesto alcuna diagnosi psichiatrica o alcun certificato da parte di un professionista medico, non riconoscendo affatto la disforia di genere come una patologia o un disturbo. Fuori dal vecchio continente la situazione è migliore in molti Paesi. Nonostante in America la disforia di genere è vista come un disturbo psicologico, l’iter legale è molto meno complicato e le condizioni di vita per le persone transessuali sono sicuramente migliori rispetto all’Italia, con le transessuali che dal 2015 possono far parte dell’esercito, malgrado le polemiche sollevate inutilmente da Donald Trump. Va ancora meglio in Argentina, dove la situazione è pressoché identica a quella danese. Notevoli passi avanti sono stati fatti anche in India, dove nel 2014 la Corte Suprema ha riconosciuto alle persone transgender o transessuali il diritto di auto-riconoscersi in un determinato genere senza dover ricorrere a terapie ed interventi medico-chirurgici, garantendo un equo accesso all’istruzione, alla salute e al mondo del lavoro, attraverso una legge che previene episodi d’odio e discriminazione. Ambigua invece la posizione della Repubblica Islamica dell’Iran che da un lato riconosce e sovvenziona gli interventi di conversione sessuale, mentre aumenta lo stigma sociale riconoscendo le persone transessuali come malati mentali da curare tramite un intervento chirurgico completo. In Medio-Oriente lo stato più avanzato in materia di diritti per le persone LGBT resta senza dubbio Israele, dove le spese per il trattamento della disforia di genere sono a carico del Sistema Sanitario pubblico. Requisito fondamentale è l’approvazione da parte del Comitato per la riassegnazione sessuale del Sheba Medical Center, che comprende un endocrinologo, un urologo e un chirurgo plastico ed è organizzato dal ministero della salute. Tutte le operazioni chirurgiche di riassegnazione sessuale sono eseguite dal Dr. Haim Kaplan presso lo Sheba Medical Center sotto l’approvazione di questa commissione, molto nota per la sua severità nel diagnosticare la disforia. Per questo motivo, come accade in Italia per altre ragioni, molte persone trans si recano all’estero facendosi carico delle spese mediche. Per quanto riguarda i documenti lo Stato d’Israele ha introdotto una legge, nel giugno 2013, che elimina la voce “sesso” dalle carte di identità nazionali così da evitare spiacevoli imbarazzi. Insomma, dalla diapositiva che emerge la strada dei diritti delle persone transessuali resta ancora lunga e tortuosa, l’Italia ha di fronte a se diversi modelli a cui potersi ispirare.