Terrorismo jihadista. I pericoli di una strategia precisa

di Massimo Pascarella –

isis flagLa congiuntura internazionale mostra una inconfondibile perdita di effettività territoriale goduta dai principali gruppi jihadisti attuali che, di converso, lascia aperti ampi spazi ad attacchi e operazione propriamente asimmetriche, prospettando un quadro strategico (jihadista) tanto frammentario quanto pericoloso.
E’ possibile considerare i seguenti casi:

– La perdita di territorio sofferta dallo Stato Islamico in Siria e Iraq;
– Il ripiego di Boko Haram nella foresta di Sambisa ed al confine nord-orientale nigeriano;
– Il declino di al-Shabaab in Somalia e la sua presenza ridotta principalmente a zone rurali;

Tale situazione, in realtà, rende ancor più favorevole e fruttuoso un raccordo tra le forze jihadiste predominanti sul campo, con particolar riguardo al contesto africano.

Precisamente, sono da annoverare:
1 – Il collegamento già comprovato tra al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) e al-Murabitun, la frangia qaedista nelle regioni settentrionali del Mali ed in quelle a nord del Niger, e rinsaldato dagli attentati a Bamako (Mali) del 20 novembre 2015, a Ouagadougou (Burkina Faso) il 16 gennaio e a Grand Bassam (Costa d’Avorio) il 13 marzo. Tali deflagrazioni rappresentano il quadro dell’Africa subsahariana: forti vuoti istituzionali che vengono colmati dall’infiltrazione jihadista nel substrato culturale e tribale di tali territori.
2 – La presenza “sporadica” sul territorio da parte dell’organizzazione jihadista nigeriana Boko Haram, che non le preclude di porre in essere attacchi nelle zone di frontiera nord-orientale della Nigeria, dove gode di appoggio logistico e di basi “a reazione rapida” grazie alle quali i suoi militanti riescono a spostarsi rapidamente (anche con l’avallo della polizia di frontiera), colpendo e pianificando attentati in tempi brevi. L’ultimo attacco rivendicato dal gruppo è stato quello del 4 giugno a Bosso, al confine Nigeria-Niger.
3 – Il declino di al-Shabaab in Somalia e la sua presenza ridotta principalmente a zone rurali, in seguito alla cacciata da Mogadiscio e Kisimaio ad opera delle forze dell’African Union Mission in Somalia (AMISOM).
Nonostante ciò, da tali aree i militanti partono per perpetrare attacchi sia a Mogadiscio sia in Kenya, ritenuta colpevole di aver iniziato nel 2011 una campagna militare contro le loro basi nel sud della Somalia. Ciò è stato corroborato il 9 giugno, quando militanti di al-Shabaab hanno attaccato una base etiopica dell’AMISON, dopo aver mietuto una dozzina di vittime pochi giorni prima (il 1° giugno) all’hotel Ambassadeur, nel centro di Mogadiscio.

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Lo Stato Islamico ha raggiunto significativi successi nella sua strategia globale per espandere il suo califfato nel continente africano. Il gruppo intende probabilmente stabilire nuovi affiliati regionali in Bangladesh, in Tunisia ed in Indonesia (come constato dagli attacchi nel 2015), ma anche in Somalia a fini di reclutamento, base logistica e di attacchi in tali aree, oltre che per sfruttare e controllare l’ingente traffico di armi passante per tale rotta ed ottenere un valido sbocco al mare, considerata la vicinanza con lo Stretto di Hormuz.
Un’alleanza de facto potrebbe essere stipulata inoltre con l’AQMI, per tessere un legame con i Tuareg, in primis, in Mali ed in seguito riallacciarsi con quelli in Libia, oltre che per sfruttare l’ulteriore braccio armato di al-Murabitun in ordine ad una maggiore penetrazione in Tunisia e Algeria.
Rimane da sottolineare che, non di minor importanza, un rapporto precipuo potrebbe essere iniziato con Boko Haram, sfruttando altresì la rotta di migranti e armi che passa dal Niger ed arriva nello snodo libico.
Tutto ciò sembra alludere ad una strategia globale di preparazione per ulteriori attacchi, in più luoghi e contemporaneamente, da mandare a effetto principalmente in Europa, oltre che alla volontà sottesa di controllare in maniera più stringente i flussi migratori diretti verso di essa.

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