Theresa May nuova premier britannica. ‘Il mio auspicio è un Paese unito’, ma il Regno perde pezzi

di Notizie Geopolitiche – 

may_theresa_grandeÈ ora ufficiale la nomina di Theresa May a primo ministro britannico, la quale subentrerà a David Cameron, costretto a dimettersi in seguito all’esito del referendum sulla Brexit, ma già dall’11 luglio era un fatto dato per scontato in seguito al passo indietro compiuto dalla sua sfidante Andrea Leadsom, la quale aveva dichiarato di rinunciare alla corsa per la leadership del Partito Conservatore (Tories).
Secondo il sistema britannico caduto un primo ministro non sono previste nuove elezioni, bensì la nomina di un nuovo presidente del partito di governo che ricoprirà la carica di premier, dopo essere stato formalmente incaricato dalla Regina.
Il compito della May, che a scanso di altri imprevisti guiderà la Gran Bretagna fino al 2020, sarà quello di traghettare il suo paese fuori dall’Unione Europea, come richiesto dalla maggioranza dei cittadini britannici in occasione del referendum tenutosi il 23 giugno scorso, firmando la lettera per l’avvio dei processi di separazione dalla Casa comune secondo quanto prevede l’articolo 50 del Trattato di Lisbona
Non si dovrà quindi attendere fino al prossimo ottobre per conoscere il nuovo premier, come precedentemente dichiarato da Cameron, fatto che aveva causato non pochi malumori a Bruxelles dove, di fronte al tentativo della Gran Bretagna di prendere tempo, si spinge invece per un’accelerazione nel processo di Brexit, per porre fine al periodo di incertezza politica ed economica che è derivata dalla decisione di Londra.
Una delle prime dichiarazioni della May da capo del governo britannico è stata un’invettiva in favore dell’unità del paese che, come mai prima d’ora, sembra sull’orlo della disgregazione; la neo-premier ha infatti affermato: “il mio auspicio è quello di una forte unità tra le quattro entità che compongono il nostro Paese, Inghilterra, Scozia, Galles e Nord Irlanda”, aggiungendo: “continuerò la politica per un governo unico nazionale che fu propria del mio predecessore”.
In seguito al referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il paese si è scoperto diviso in due blocchi quasi equivalenti di favorevoli e contrari, sia dal punto di vista della popolazione che da quello geografico: mentre l’Inghilterra, ad eccezione di Londra, ed il Galles hanno votato per lasciare l’Ue, Scozia ed Irlanda del Nord hanno votato compatte per non rompere il legame con Bruxelles.
Il rischio di vedersi trascinati fuori dall’Ue contro la loro volontà ha convinto quindi i governi di Belfast ed Edimburgo ad avanzare l’ipotesi di tenere delle consultazioni rispettivamente per riunire il Nord Irlanda alla Repubblica d’Irlanda e per una Scozia indipendente e membro dell’Ue.
Benché un referendum analogo a quest’ultimo si sia già tenuto il 18 settembre 2014 con la vittoria degli unionisti (55.3%), in quel caso l’autodeterminazione avrebbe significato anche abbandonare l’Ue, compiendo quel salto nel buio che invece si appresta ora ad affrontare l’intero paese, contro la volontà del popolo scozzese, fatto che, secondo i sondaggi, ha rovesciato le opinioni in favore della secessione.