Trump sente Abu Mazen, “E’ ora di porre fine ad una sofferenza durata 70 anni”

di Enrico Oliari

Appare un tantino confusa la politica del presidente Usa Donald Trump sull’annosa questione dei palestinesi. O forse la sua è una strategia tutt’altro che campata in aria: ora che gli slogan della campagna elettorale appartengono al passato, quando era necessario avere il sostegno delle potenti lobby ebraiche, la realpolitik sta portando Trump a misurarsi su un questione difficile, dove l’amministrazione Obama e l’allora segretario di Stato John Kerry hanno miseramente fallito.
Oggi il presidente Usa si è sentito con quello dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, il cui portavoce Nabil Abu Rdainah ha riferito in un’intervista per il quotidiano panarabo al Quds al Arab che il colloquio tra i due leader “è stato eccellente, simpatico e serio”.
Trump avrebbe detto ad Abu Mazen che “E’ giunta l’ora di porre fine ad una sofferenza durata 70 anni”, ed ha invitato “a breve” il leader palestinese alla Casa Bianca, cosa confermata anche da Washington. “Il presidente Trump – ha comunicato la Casa Bianca – ha espresso la convinzione che la pace sia possibile e che sia arrivato il momento per giungere ad un accordo tra le parti. Ha inoltre sottolineato che un’intesa garantirebbe a israeliani e palestinesi la pace che è loro dovuta e avrebbe ripercussioni positive sulla stabilità dell’intera area e del mondo intero”. “Gli Stati Uniti – viene precisato nel comunicato – non prenderanno parte nella contesa, l’accordo dovrà essere frutto di negoziati diretti tra Ramallah e Gerusalemme”.
Dal Trump della prima ora, cioè da quello che aveva garantito che avrebbe annullato l’astensione degli Usa al Consiglio di sicurezza dell’Onu circa la condanna della politica di Benjamin Netanyahu di espansione edilizia nei territori palestinesi (uno degli ultimi atti di Barak Obama), si è quindi arrivati ad un cambiamento di tendenza radicale. Un primo segnale si era avuto in febbraio in occasione dell’incontro di Trump con il re giordano Abdullah, quando il presidente Usa aveva affermato che “La costruzione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti al di là degli attuali confini potrebbe non aiutare il raggiungimento della pace”, mentre è tutt’altro che sospesa l’ipotesi, con i dovuti tempi, di trasferire la rappresentanza diplomatica degli Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, cosa che implicherebbe il riconoscimento da parte di Washinton della Città santa come capitale di Israele; il nuovo ambasciatore, l’ebreo ortodosso David Friedman, ne è convinto e ha già manifestato la sua intenzione di andare a vivere a Gerusalemme.
Trump starebbe insomma dando un colpo alla botte ed uno al cerchio portando avanti una strategia di accontentare entrambe le parti in cambio di un impegno di Israele a chiudere una volta per tutte la questione, ma tutto sta a vedere se il premier Netanyahu vorrà accontentarsi o se i coloni e i palazzinari che lo sostengono politicamente lo spingeranno a non accettare compromessi.

Nella seconda foto: il leader palestinese Abu Mazen.