Turchia. Processo giornalisti: alla sbarra la reputazione del Paese

di Vanessa Tomassini –

L’11 settembre è una data tristemente nota a tutti, anche in Turchia. Ironia della sorte vuole che sia ripreso proprio ieri il processo a diciannove giornalisti ed amministratori del quotidiano ‘Cuhmuriyet’. L’accusa per loro è quella di “sostegno ad organizzazioni terroristiche”.
Dopo la conclusione delle indagini preliminari, il 28 luglio scorso, gli imputati sono comparsi in mattinata di fronte ai giudici della ventisettesima aula della corte penale, allestita nell’aula magna dell’istituto penitenziario di massima sicurezza di Silivri, a nord-ovest di Instanbul.
316 giorni di detenzione per l’amministratore dello storico quotidiano turco Cumhuriyetv Murat Sabuncu, Akın Atalay e per gli auotori Kadri Gürsel, Ahmet Sık e Kemal Aydogdu, è stata questa la sentenza emessa dalla Corte della sesta udienza iniziata alle 10,22 di ieri mattina, contro i giornalisti colpevoli, in realtà, di non essersi mai piegati al regime del presidente Recep Tayyip Erdogan. I giudici hanno anche richiesto il nuovo arresto dell’ex direttore Can Dundar e del collega lhan Tamir, entrambi fuggiti all’estero. Per loro la pena sarà di 255 giorni.
Dal dibattimento, è emerso che ad essere sotto processo è la linea editoriale di Cumhuriyet e non i presunti legami con la rete di Fethullah Gulen, considerato la mente del tentato golpe del 2016 contro Erdogan. In tal senso, uno degli avvocati della difesa, Hikmet İlkiz, ha dichiarato senza tanti giri di parole che “stando alla Legge, non ci sono articoli di giornali che possano giustificare le accuse mosse ai 18 imputati di questo paradossale processo”. È chiaro che l’accusa non è fondata: come può il giornalismo supportare delle attività terroristiche?
Ma Erdogan, non si arrende. Mentre nel carcere veniva letta la sentenza, arresti di massa di altri colleghi venivano eseguiti dai funzionari di polizia, con la solita accusa di terrorismo. Nelle ultime settimane più di 600 persone sono state condotte in cella, 451 sospetti di legami con Gulen, 117 invece sarebbero vicini al Pkk curdo.
A nulla sono valse le proteste, al grido di “libertà, libertà per i giornalisti”, alle quali hanno preso parte esponenti della stampa internazionale, Penny International e Reporters sans Frontiers, oltre ad alcuni deputati e parlamentari repubblicani.
Non sono solamente giornalisti turchi ad essere nei guai, la Turchia sta diventando la gabbia del giornalismo internazionale. Poche ore fa la Germania ha denunciato l’arresto di due operatori tedeschi che stavano lavorando proprio sui diritti umani. L’Italia aveva trattenuto il fiato per Gabriele Del Grande, arrestato il 10 aprile scorso e fortunatamente liberato dopo 14 giorni, grazie agli sforzi della diplomazia italiana.
È triste che tutto questo avvenga sotto gli occhi dell’Europa e di tutti noi. Il processo riprenderà il 25 settembre ed è chiaro che gli imputati stanno andando incontro ad una pena già scritta, ma come ha dichiarato il vicepresidente del Gruppo parlamentare Repubblicano del Popolo “ad essere in prigione non sono solo i giornalisti, ma la reputazione e l’onore della Turchia”, che – aggiungiamo noi- stentiamo a definire democratica.