Ucraina. La guerra continua tra i mille piani per un compromesso

di Dario Rivolta * –

La guerra in Ucraina continua e dal 2014 c’è stata un’enorme quantità di edifici distrutti, quasi due milioni di persone hanno dovuto lasciare i luoghi ove vivevano e lavoravano, una decina di migliaia sono i feriti e più di 9.500 i morti. Nel settembre 2014 e poi nel febbraio successivo, a Minsk si sono raggiunti accordi di pace tra i due fronti combattenti supportati dai rispettivi sponsor, ma tutto sembra essere stato invano. Quanto concordato non è mai stato applicato completamente dalle parti: in particolare la riforma costituzionale, che avrebbe dovuto prevedere una larga autonomia per le regioni a est del Paese, non è mai stata discussa dal Parlamento ucraino. Anche il ritiro dal fronte delle armi pesanti è stato solo fugace e apparente.
I motivi del non rispetto degli impegni assunti sono ovvi: gli Stati esteri che hanno favorito il colpo di stato contro il legittimo governo di Viktor Yanukovich non intendono rinunciare al progetto di attrarre l’Ucraina nell’orbita Ue e Nato e, dall’altra parte, la Russia non accetta di vedere uscire quel Paese dalla sua orbita d’influenza con l’aggravante di vedere un domani posizionare dei missili occidentali sulla porta di casa propria. A ciò si aggiunge la questione della Crimea, russa da secoli ma “donata” da Krusciov all’Ucraina ai tempi dell’Unione Sovietica. Recentemente la supposta ministra degli Esteri dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha dichiarato che le sanzioni contro la Russia non saranno tolte sino a che Mosca non abbandonerà la Crimea. Cioè, ovviamente, mai. Salvo che la Mogherini non intenda che l’Europa voglia conquistarla con la forza.
Tutta la popolazione ucraina è ormai stanca della guerra e di una situazione economica disastrosa, aggravata dalla crescente corruzione di politici e funzionari pubblici. Nello stesso tempo non gradisce quanto concordato a Minsk giudicandolo una premessa per la futura dissoluzione del Paese. Anche gli abitanti delle regioni del Donbass preferirebbero la fine dei combattimenti alla continuazione del conflitto ma non possono accettare che, dopo tanti morti e tante sofferenze, tutto finisca con una loro totale subordinazione a interessi a estranei, per di più gestiti da un governo manovrato da ricchi oligarchi locali e da potenze straniere (in particolare Polonia e Stati Uniti).
In questo quadro complicato le fonti più disparate hanno avanzato nuove possibili soluzioni al conflitto, ma nessuna di loro sembra avere ancora l’appoggio delle parti in causa. Vediamole una per una:

Progetto Pinchuk.
Tale proposta apparve sul Wall Street Journal lo scorso dicembre e fu subito rifiutata dal governo di Kiev. Il miliardario ucraino Viktor Pinchuk partiva dal presupposto che la Russia non si sarebbe mai ritirata dalla Crimea e che non poteva accettare un’Ucraina a lei “ostile”. Di conseguenza proponeva di “scambiare” la pace in Donbass con la rinuncia di Kiev a ogni rivendicazione sulla penisola e a qualunque forma di adesione all’Eu o alla Nnato. Per quanto ciò avrebbe potuto significare un duro compromesso per l’attuale governo di Kiev, questa era (è?) l’unico modo per salvare altre migliaia di vite innocenti.

Progetto Mariupol di Konstantin Kilimnik.
Costui fu assistente, in Kiev, di quel Manafort a sua volta responsabile della campagna elettorale di Trump fino a che non si scoprirono i suoi passati legami con l’ex presidente Yanukovich. Tale piano prevede di sostituire gli accordi di Minsk con altri da stabilire a Mariupol senza la presenza delle potenze straniere (Germania, Francia, Russia) che furono gli sponsor di quella trattativa. Poiché gli attuali vertici politici di Kiev non accettano di dialogare con i capi della rivolta nel Donbass giudicandoli “terroristi”, al loro posto dovrebbe essere proprio Yanukovich a rappresentare i ribelli e negoziare la cessazione degli scontri. In compenso si garantirebbe che sia salvaguardata l’unità del Paese. Le premesse sono che nessuna potenza straniera, nemmeno gli Stati Uniti, ha avuto la responsabilità di provocare i disordini di Maidan e che si sia trattato solamente di contrasti interni, per quanto violenti.

Progetto Artemenko.
Andriy Artemenko è un avvocato ucraino che sembra abbia avuto contatti sia con rappresentanti russi sia con l’ex consigliere di Trump per la Sicurezza nazionale Michael Flynn. Tutti gli interessati hanno smentito tali incontri (compreso lo stesso Artemenko) e sia Kiev, sia Washington, sia Mosca hanno dichiarato di rifiutare totalmente questo piano.
Esso prevedeva che la questione della Crimea fosse risolta attraverso un “leasing” alla Russia di trenta o cinquanta anni e che fosse seguito da un locale referendum monitorato da organismi internazionali. Inoltre, tutti i combattenti delle due parti avrebbero potuto ottenere un’amnistia generale, salvo quelli che avessero commesso i crimini più gravi. I confini tra Russia e Ucraina sarebbero tornati sotto il controllo di Kiev ma, per settantadue ore, si doveva lasciare aperto un corridoio per consentire a chi lo avesse voluto di espatriare verso la Russia. La questione dell’autonomia regionale sarebbe stata in seguito soggetta a un referendum nazionale.

Piano Yanukovich.
L’ex presidente ha inviato a Trump e ai leader di Francia Polonia, Germania e Russia un suo progetto in sei punti che prevede, tra l’altro, la creazione di una Commissione del Consiglio d’Europa che indaghi sui fatti di Maidan del febbraio 2014, che ogni negoziazione comprenda la presenza dei capi delle milizie del Donbass e che se il Parlamento di Kiev non procederà alla riforma costituzionale, si tengano a Donetsk e a Lugansk dei referendum affinché le popolazioni possano decidere liberamente del loro status.

Piano Taruta.
Sergheiy Alexseyevich Taruta, in imprenditore ucraino miliardario, fu nominato governatore di Donetsk appena il locale malcontento cominciò a manifestarsi nel 2014 e dovette lasciare quando i disordini locali cominciarono a diventare violenti. La sua proposta consiste nel ripristinare nel Donbass, tramite l’appoggio e il riconoscimento internazionale, tutti i governanti in carica nel 2010 e chiedere che sia l’Onu a presidiare la regione e garantire la pace.

Oltre a queste saranno sicuramente presentate anche altre nuove proposte, più o meno verosimili, ma sembra che ognuna delle parti in causa non sia disposta a compromessi e attenda che sia l’altro a cedere per prima. Quel che è certo è che una qualunque vera e definitiva soluzione metterebbe a rischio la permanenza al potere di tutta l’attuale dirigenza di Kiev, significando per loro, comunque, una sconfitta davanti alla propria opinione pubblica cui sono già stati imposti enormi sacrifici. Molto probabilmente significherebbe anche la fine di tutti i profitti, leciti o illeciti, che i potenti oligarchi ucraini, grazie ai loro fantocci politici, continuano a mietere sulle spalle dei cittadini e dei poveri soldati mandati a morire.
Fa specie che il presidente Petro Poroshenko sostenga che nessun piano di pace potrà da lui essere accettato fuori da quanto stabilito a Minsk 2. Se questa è la condizione, perché continua a chiedere armi “letali” alla Nato e sia lui stesso il primo a non rispettare quegli accordi? Nel frattempo continua le sue processioni in Europa per cercare di ottenere la proroga delle sanzioni contro Mosca e non nasconde la speranza che, nel frattempo qualcuno, magari la Nato, decida di intervenire militarmente in suo aiuto.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.