Ue: stati efficienti e stati “diversamente efficienti”

di Giovanni Ciprotti

Se è vero che sul tema delle migrazioni l’Unione Europea si sta giocando il futuro, allora sarebbe il caso di discuterne con la testa e non con la pancia. L’estate forse non è il momento migliore per parlare lucidamente di flussi migratori perché le condizioni climatiche favoriscono l’intensificarsi degli sbarchi sulle nostre coste, ma vale la pena tentare.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito alla dura contrapposizione tra governi nazionali filo-europeisti, almeno nelle dichiarazioni, come la Francia e Stati dall’impostazione “sovranista”, come l’Ungheria di Viktor Orbàn o più recentemente l’Italia di Giuseppe Conte, sebbene si sia avuta l’impressione che a dettare l’agenda politica fosse il neo-ministro degli Interni, il leghista Matteo Salvini.
La Lega si è sempre spesa per introdurre norme sempre più restrittive nei confronti degli immigrati – uno dei due firmatari della riforma sull’immigrazione del 2002 fu Umberto Bossi, storico leader della Lega Nord – e quindi l’atteggiamento di Matteo Salvini non rappresenta una novità.
La richiesta dei Paesi dell’Europa mediterranea – Grecia, Italia e Spagna – a Bruxelles perché l’Unione europea modifichi le sue politiche per una più equa distribuzione, tra i Paesi membri, degli oneri della gestione dell’immigrazione non è questione recente: da anni i governi di ogni colore politico a Atene, Madrid e Roma sollecitano le istituzioni europee per la modifica del Trattato di Dublino e l’individuazione di un piano di condivisione dei costi economici e sociali derivanti dall’accoglienza di chi sbarca sulle nostre coste.
Purtroppo i veti di alcuni Paesi e la legislazione europea vigente hanno penalizzato e continuano a penalizzare Grecia, Italia e Spagna nel far fronte all’ondata di sbarchi che, soprattutto nel periodo estivo, mettono a dura prova le strutture di accoglienza, identificazione e assistenza per i migranti.
La ricerca di una soluzione strutturale, sperabilmente condivisa dall’intera Unione, non può che partire dai meccanismi e dalla strutture esistenti, dai dati statistici che descrivono il fenomeno e dalla distinzione tra le persone che cercano di entrare in Europa per migliorare il proprio tenore di vita, spesso misero, e chi fugge da guerre e persecuzioni di varia natura e quindi aspira al riconoscimento dello status di rifugiato.
Se è vero che il peso delle operazioni di salvataggio in mare e accoglienza nei porti non è distribuito in maniera equilibrata tra i Paesi membri della UE, su alcuni aspetti i dati disponibili sembrano raccontare anche storie leggermente diverse.
Analizzando le statistiche elaborate da Eurostat [1] sui migranti richiedenti asilo, ad esempio, è possibile cercare di confrontare le situazioni nei singoli Paesi.
I dati più recenti ci dicono che nel 2016 in Europa sono state presentate 1.258.865 richieste di asilo e ne sono state evase 1.104.875.
Il Paese che ha sopportato il peso maggiore delle domande esaminate è stata la Germania, con 631 mila richieste, mentre il nostro Paese, che certo deve farsi carico di ben altre responsabilità in conseguenza degli sbarchi, ha esaminato poco meno di 90 mila richieste di asilo. Quando poi ci si sofferma sulle richieste accolte in primo grado, si passa dall’8,5% dell’Ungheria o al 23,7% della Grecia, al 68,8% della Germania fino al 72,1% dei Paesi Bassi: si tratta soltanto di un caso oppure le differenze nelle percentuali di richieste accolte sono riconducibili ai diversi criteri applicati nei singoli Paesi per l’attribuzione dello status di rifugiato? Potrebbe essere utile tentare di uniformare a livello di Unione europea le norme che disciplinano l’iter di esame della richiesta di asilo politico?
Dai dati elaborati da Eurostat emergono ulteriori disomogeneità tra i diversi Paesi, soprattutto se si rapportano i numeri assoluti alle popolazioni dei singoli Paesi. Si scopre allora che la Germania esamina 7,77 richieste ogni mille abitanti, la Svezia arriva ad esaminarne 9,85 ogni mille abitanti, mentre Grecia, Italia e Spagna, i Paesi più esposti all’immigrazione da sud, fanno registrare un tasso di richieste esaminate per mille abitanti di 1,06, 1,48 e 0,22 rispettivamente. La normalizzazione dei numeri assoluti rispetto alla popolazione di ogni stato fornisce ulteriori spunti di riflessione: guidano la classifica Svezia e Germania, rispettivamente con 6,84 e 5,35 richieste accolte per mille abitanti; il fanalino di coda è l’Ungheria “blindata” di Orbàn, con un indice di 0,04, ossia 40 richieste accolte per milione di abitanti, ma si tratta di un risultato che non può sorprendere, tenuto conto della politica attuata dal governo ungherese sul tema immigrazione. E l’Italia? Si posiziona decisamente nella fascia bassa di questa particolare classifica, con 0,58 richieste accolte ogni mille abitanti.
La forbice tra gli indici “normalizzati” delle richieste (evase o accolte) potrebbe dipendere, oltre che da condizionamenti politici come nel caso di Ungheria o Regno Unito, anche dai diversi gradi di efficienza nelle Amministrazioni nazionali? E’ possibile, per i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Italia in testa, cercare di migliorare la propria efficienza amministrativa per cercare di emulare, almeno su questo fronte, i tedeschi e gli svedesi?

Fonte: http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Asylum_statistics/it