Uganda. Passi da gigante sul fronte dei diritti, ma la strada è ancora lunga

di C. Alessandro Mauceri – 

Quello che sta accadendo in Uganda rappresenta in modo esemplare ciò che succede in molti paesi dell’Africa subsahariana.
Dal punto di vista etnico il paese ospita molti gruppi: Bantu nilotici-camitici; Baganda (16,5%), Banyankore (9,5%), Basoga (9%), Bakiga (7%) e Iteso (7%). Un caleidoscopio di etnie tipico di molte altre zone dell’Africa centro-meridionale e che influenza spesso le scelte politiche. Indipendente dal 1962, l’Uganda ha subito tensioni interne a lungo termine ed è stata ripetutamente oggetto di repentini cambi di potere, culminati nel colpo di stato militare di Yoweri Museveni nel 1986.
La scoperta dei giacimenti petroliferi nel lago Alberta ha cambiato l’economia del paese, da prevalentemente agricola, basata sull’esportazione di caffè e sugli aiuti internazionali, a petrolifera , rendendo l’Uganda attraente per molti paesi come la Cina (che ha ritagliato una posizione leader nel settore degli investimenti infrastrutturali) e il Giappone.
Le conseguenze di tutto ciò sulla popolazione ugandese sono state rilevanti: soprattutto tra i più giovani, più della metà degli abitanti ha infatti meno di 18 anni. L’Uganda ha infatti ottenuto buoni risultati, raggiungendo il 33% degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, a partire da quelli riguardanti i diritti sociali dei bambini.
La sopravvivenza infantile è migliorata, ma meno di due terzi dei bambini sono registrati alla nascita; grazie al Mobile Vital Registration System il loro numero è però raddoppiato (dal 30% nel 2011 al 60% nel 2014). Ci sono però ancora circa 3 milioni di bambini con meno di cinque anni non registrati nel paese, e quasi un terzo di questi sono nelle regioni orientali e sud-occidentali.
La maggior parte dei gruppi come i minori di età compresa tra 0 e 8 anni, le adolescenti e i disabili sono emarginati e particolarmente svantaggiati sotto diversi aspetti, a cominciare dalla salute: l’Uganda è uno dei primi 10 paesi per morte di parto, neonatale e infantile mentre l’Aids è la seconda causa di decesso tra gli adolescenti. Malaria, diarrea, polmonite e altre malattie diffuse sono poi responsabili di oltre il 70% delle morti di minori sotto i cinque anni.
Morti causate dalle condizioni ambientali, ma non bisogna dimenticare che esistono anche cause sociali: sebbene l’assistenza sanitaria di base sia ufficialmente gratuita, le famiglie sono costrette a sopportare il 61% dei costi sanitari dei propri malati e, come se non bastasse, si aggiunge una forte mancanza di operatori sanitari qualificati e ospedali.
Nonostante i miglioramenti nella fornitura di vaccini, quasi la metà dei bambini di età compresa tra 12 e 23 mesi non hanno ricevuto tutte le vaccinazioni necessarie; anche la nutrizione causa grossi problemi: nonostante il progresso dell’ultimo periodo infatti, la sottoalimentazione è causa del 40% delle morti infantili. Per coloro che sopravvivono, le conseguenze per tutta la vita sono rilevanti, a partire dallo sviluppo fisico e cognitivo. Un terzo dei bambini con meno di cinque anni (2.4 milioni) è denutrito e oltre 1 milione è sottopeso, il 38% dei è carente di vitamina A, il 49% dei minori di età compresa tra sei mesi e quattro anni e il 60% delle donne in gravidanza sono anemici.
Anche l’educazione è una priorità. Dall’introduzione dell’istruzione primaria universale, nel 1997, il numero di bambini che si iscrivono alla scuola dell’obbligo è triplicato, tuttavia 1.4 milioni di minori tra i 6 e i 12 anni in tutto il paese non vanno a scuola.
L’iscrizione alle scuole è rilevante, ma la qualità dell’istruzione rimane bassa e i tassi di abbandono sono elevati (con rilevanti disparità tra aree rurali e aree urbane). Le politiche di sviluppo della prima infanzia sono migliorate a livello nazionale, ma 3 milioni di bambini di età compresa tra 3 e 5 anni non frequentano ancora un centro preprimario o una scuola. Ancora una volta il problema è il denaro: i tassi di iscrizione alla scuola primaria sono alti, ma solo due su tre di coloro che si iscrivono possono permettersi di completare la loro istruzione; la situazione è ancora peggiore nella scuola secondaria: le spese sono più alte e gli studenti sono spesso spinti a lavorare al fine di sostenere la famiglia (attualmente più della metà dei minori tra i 5 e i 17 anni lavora). Solo il 24% dei ragazzi e delle ragazze frequenta una scuola secondaria anche a causa della violenza e degli abusi sessuali negli istituti.
Ci sono grandi differenze anche a seconda di dove si nasce e di quanto è ricca la famiglia: i bambini nelle aree urbane hanno infatti più del doppio delle probabilità di frequentare la scuola secondaria rispetto a quelli nati nelle aree rurali.
Scoraggianti sono invece le statistiche in fatto di violenze sessuali e riguardo alle cosiddette “spose bambine”: quasi il 40% dei minori è stato infatti sottoposto a violenze fisiche, più della metà delle ragazze tra i 15 e i19 anni ha subito abusi fisici o sessuali, un quarto delle ragazze si sposa e inizia ad avere figli tra i 15 e i 19 anni sebbene l’età minima per contrarre matrimonio sia 18 anni. 2.4 milioni di bambini sono impegnati nel lavoro minorile mentre dei circa 2.5 milioni di minori con disabilità, due terzi non ricevono alcuna forma di assistenza.
Vero è che l’Uganda negli ultimi 20 anni ha fatto passi da gigante sul fronte dei diritti, ma la strada è ancora lunga.