Usa. Clima: Trump sotto pressioni esterne ed interne. Ma forse è quello che vuole

di Enrico Oliari

Non c’è leader europeo che non abbia condannato anche duramente la decisione del presidente Usa Donald Trump di uscire dagli accordi di Parigi della Cop21 sul clima, un dietrofront che sta rischiando di far saltare l’impianto stesso di quanto faticosamente era stato raggiunto nel 2015.
Gli Usa e la Cina da soli causano il 38% delle emissioni di Co2 e, come giustamente ha fatto notare da subito il presidente russo Vladimir Putin attraverso il portavoce Dmitry Peskov, “c’è bisogno che l’accordo venga sottoscritto dai Paesi chiave in vista dell’attuazione degli impegni. Non esiste alternativa rispetto a questo meccanismo di entrata in vigore”.
Tuttavia Trump si trova sempre più a dover avere a che fare con chi nel suo paese vuole andare avanti sulla via del “green” nonostante lui, il presidente. E non si tratta solo degli oppositori politici e delle organizzazioni ambientaliste, poiché è ormai comune la convinzione che i cambiamenti climatici sono in corso e che i segnali di un pianeta ammalato sono evidenti, una “casa comune” di tutta l’umanità che rischia di essere compromessa per le generazioni future.
La posizione di Trump, il quale in campagna elettorale aveva affermato che “i cambiamenti climatici sono una bufala inventata dai cinesi per indebolire l’industria americana”, trova spazio in determinati ambienti della destra repubblicana, ma anche nel suo partito c’è chi ritiene che il ritiro degli Usa dagli accordi della Cop21 sia stato inopportuno, per quanto il presidente abbia affermato di voler pensare a nuove intese.
Dall’Ue, ma anche dai paesi asiatici ed africani, all’unanimità è stato detto che quanto stabilito a Parigi è inderogabile, e della stessa linea sono oggi colossi statunitensi come Tesla, Facebook, Morgan Stanley, Tiffany, Apple. L’ad. della Mela Tim Cook avrebbe addirittura chiamato al telefono la Casa Bianca, come riporta Bloomberg.
Aziende importanti, che proprio per i loro programmi di investimenti di ricerca per lo sviluppo ecosostenibile potrebbero guardare altrove, e già ha teso loro una mano il francese Emmanuel Macron.
Stati ed amministrazioni, specialmente a guida democratica, hanno affermato di non voler seguire la linea di Trump sul clima e di puntare, per quanto possibile al rispetto degli accordi: negli Usa si sta creando una vera e propria alleanza fra gli amministratori per fare pressioni sulla Casa Bianca e già si sono fatti avanti California, Washington, New York, Chicago, Los Angeles, Filadelfia, New Orleans, Seattle, Boston.
Caustico Arnold Schwarzenegger, ex governatore repubblicano della California, il quale in un video-messaggio ha affermato che “un solo uomo non può distruggere il nostro futuro”.
D’altro canto si fa presto a buttare all’aria tutto quanto aveva messo insieme il predecessore Barak Obama, ma con il clima il rischio è di buttare via il bambino con l’acqua sporca.
E forse sono proprio le pressioni interne ed esterne ad interessare a Donald Trump, che così potrebbe fare una nuova marcia indietro senza perdere la faccia davanti ai suoi elettori. E, considerando che per il Russiagate si parla di impeachment, per Trump è divenuto ormai necessario costruirsi un consenso a 360 gradi, anche al di fuori del proprio ambiente politico.
A Parigi erano stati stabiliti, tra gli altri, gli obiettivi di (articolo 2) tenere “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali” il riscaldamento del pianeta, la cui causa è proprio l’aumento della Co2; di (articolo 3) “raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile” per poi arrivare a “rapide riduzioni” e a “un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo”; che (articolo 9) i paesi sviluppati e quindi più inquinanti sostengano finanziariamente gli altri paesi, “100 miliardi di dollari l’anno da qui al 2020”, per iniziative a favore del clima come il passaggio alle energie rinnovabili.