Usa. Divide et impera?

di Gianluca Celentano

Non ho mai avuto pregiudizi verso nessuna nazione tanto meno per gli Stati Uniti, paese moderno che ha dato la possibilità di emergere a molti talenti, dimostrandosi nel corso della storia poco burocratico verso l’iniziativa imprenditoriale, amministrativamente efficiente ed emancipato sui diritti delle donne e su quelli civili, ma molto meno su quelli sociali.
Anche in ambito tecnologico e militare gli USA sono precursori di molte novità; tra le tante vale la pena ricordare il concetto di blindatura dei ruotati per la protezione dei soldati MRAP Mine-Resistant Ambush Protected, da noi assimilato e aggiornato con tecnologie strutturali anti IED, Improvised explosive devices.
Non c’è quindi da stupirsi nel considerare gli States una delle locomotive economiche mondiali, se consideriamo che lo sviluppo della loro ricchezza arriva anche dalla presenza di materie prime nel sottosuolo e l’autonomia energetica. Gli USA hanno la possibilità di investire annualmente ben 700 miliardi di dollari nel comparto difesa, mentre l’Italia, per fare un paragone, si arranca con una ventina quando ne servirebbero almeno il doppio, come fa la Francia, per assecondare le pressioni della Nato e le esigenze di aggiornamento. Con l’attuale periodo storico la coperta è corta per tutte le esigenze del nostro paese, ragion per cui la difesa appare impegnata su due fronti: quello di una prontezza emergenziale in sinergia con le risorse volontaristiche e il mantenimento dell’operatività dei reparti d’élite.

Hiroshima e Nagasaki.
Non avere pregiudizi non significa non esercitare una libera critica anche nei confronti di un paese come gli USA che tiene più di altri a porsi come un leader mondiale e un indiscusso esportatore di civiltà e democrazia. C’è da chiedersi se davvero le carte sono in regola per poterlo fare. Il “trascorso” bellico americano racconta molto e potremmo citare il bombardamento su Tokyo dal ‘42 al 45 che segnò 200mila vittime civili, ma soprattutto l’uso della prima bomba atomica. Il 16 luglio 1945 a Alamogordo (New Mexico), gli USA fecero il primo test nucleare facendo detonare su un traliccio di 30 metri Trinity, un ordigno atomico al plutonio di 20 Kton. Tre settimane dopo, il 6 agosto 1945, un ordigno simile di 15 Kton aviotrasportato e mai sperimentato fu sganciato su Hiroshima e appositamente fatto detonare in quota per creare più vittime possibili. Ci riuscirono, registrando subito 60 mila morti che raddoppiarono con la seconda bomba su Nagasaki sganciata il 9 Agosto. A 77 anni di distanza e alla luce dell’attuale conflitto in Ucraina e delle tensioni tra USA, Russia e Cina, l’incubo di una guerra atomica è riaffiorato.
Per questo motivo quest’anno le celebrazioni del 77mo anniversario si svolgono in un contesto più delicato e preoccupante. Senz’altro un’occasione per riflettere e per condannare fermamente chiunque si è macchiato degli orrori della guerra in qualsiasi conflitto passato e presente.

Chi è senza peccato?
Ricordiamo che negli States non è ancora al bando la pena di morte e l’assistenza sanitaria è pressoché privata, per cui a coloro che non possono permettersi le cure non resta che affidarsi alle associazioni volontaristiche o semplicemente, non curarsi. Le condizioni di vita sono molto contraddittorie, infatti gli USA offrono ampie possibilità di valutazione sui meriti professionali (superiori a quelle a cui siamo abituati) soprattutto se provieni da rinomati college o “famiglie bene”. In caso di tracollo però sei comunque out, non hai alcuna garanzia e il tuo valore è sostanzialmente assimilato a quanti dollari hai in tasca. Potremmo dilungarci sulla libera vendita di armi o sulle ingenti cauzioni per essere rilasciati dopo un reato, ma alla luce delle 64 guerre negli ultimi cent’anni in cui gli States si sono impegnati, preferisco analizzare il perché esista un connubio che ponga gli USA sempre e comunque come un paese dalla parte della ragione.
Appartengo a quella classe anagrafica per la quale l’America già alle elementari, era enfatizzata come i paladina della giustizia e, a rafforzare questo concetto, a casa c’erano i fumetti dei supereroi della Marvel o i film dove il buono era sempre un americano. Certo, l’America ci ha liberato da una dittatura e aiutato a risollevarci dalle macerie, ma a questo punto credo sia anche legittimo domandarsi quanto fosse disinteressata questa solidarietà
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Carte scoperte.
Se non avvengono per ideologie, le guerre sono quasi sempre all’insegna di interessi economici tra cui quello bellico e quasi sempre arrivano con la prepotenza, a volte all’improvviso, altre quando viene meno un rapporto diplomatico. Il buonsenso vorrebbe che si evitasse il degenerare di situazioni già tese, ma i copioni non sono mai improvvisati. Una cosa è certa, con le guerre sono i cittadini, gli innocenti spesso estranei alle scelte politiche, a pagare il prezzo più caro. La recente invasione dell’Ucraina da parte dei russi, ha fatto comprendere come un “semplice” allargamento della Nato temuto dal leader russo Putin, possa degenerare a fronte di un precedente “equilibrio” già precario dal 2014. E’ da capire in quale misura l’Europa si divida sulle opinioni circa questo tragico conflitto descritto quotidianamente dai mass media. Esprimere un’opinione ed essere etichettati all’istante pro o contro e quindi come buoni o cattivi rispetto a un concetto di politically correct, è quanto di più offensivo, fastidioso e limitativo possa esistere per la propria libertà intellettuale in una società che non accetta il dissenso di vedute. Questo avviene all’ordine del giorno soprattutto sui social.
Alla luce delle tante informazioni che ci aggiornano, mi domando cosa narreranno i libri di storia tra vent’anni su questa guerra in Europa. Qualcuno sostiene velatamente che siamo già dentro una terza guerra mondiale che da noi ha riverberi mediatici ed economici, altri sostengono che ci avviamo verso un futuro ancora peggiore e, qualcun’altro, verso una sorta di spartizione dei poteri globali. Ci vorrebbe un po’ più di umiltà
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Non temere le tue idee.
Essere obiettivi non è semplice ma senz’altro necessario anche se si diventa dei facili bersagli. Infatti essere accusati di “putinismo” è davvero troppo facile quando ci si pone qualche domanda o o si rifletta ad esempio su cosa c’entrano i cittadini russi con le scelte del loro presidente.
No, non è putinismo sostenere che le risorse russe sono significative per l’Europa e per l’Italia, e non è putinismo sostenere che un concetto di Europa sociale e solidale è ancora molto distante . Non è neppure putinismo sostenere imbarazzanti i cambi di casacca politici, in particolare quando si è professato convintamente una linea ideologica fino al giorno prima. Non lo è neppure credere che potremmo mantenere buoni rapporti con tutti, russi e americani compresi senza apparire fanalini di coda. Credo che la Russia sia un paese che seppur si basi su una politica sociale sostanziale, impera sul popolo con un eccesso di rigore, ma sarà l’emancipazione del suo popolo grazie agli scambi culturali e l’integrazione a cambiarne il futuro.

Concludo con un pò di umorismo su questa competizione tra titani che vogliono “comandare” il mondo, auspicando l’arrivo degli extraterrestri non troppo pacifici. Ebbene, in questo caso il mondo diverrebbe unito, coeso e solidale.