Usa. Falla nel Keystone, disastro ambientale nel Sud Dakota

di C. Alessandro Mauceri –

Nuovo disastro ambientale causato dal petrolio. L’oleodotto Keystone, gestito dalla società petrolifera TransCanada, è tornato a far parlare di sé. Oggetto di dispute durante l’amministrazione Obama, quando fu duramente osteggiato dalle comunità indigene, era stato rilanciato dall’amministrazione Trump che voleva a tutti i costi completare i lavori per la realizzazione di un prolungamento della linea infinita (già oggi supera i 2mila km dal Canada alle raffinerie del Texas alle quali fornisce il greggio).
Nei giorni scorsi, per cause ancora da accertare una falla nei pressi della contea di Marshall, nello stato americano del Sud Dakota, ha causato la fuoriuscita di oltre 800mila litri di petrolio in pochi minuti. A dare la notizia dell’“incidente” (in questi casi le compagnie petrolifere evitano parole come “disastro”) è stata la stessa TransCananda, la quale ha dichiarato di essere intervenuta tempestivamente e di aver isolato completamente la falle e attivato le misure di emergenza. Restano ancora da accertare le cause e soprattutto i danni causati dall’immensa quantità di petrolio fuoriuscito dalla condotta. Per il momento un tratto dell’oleodotto rimarrà chiuso, mentre continua funzionare il tratto meridionale che arriva fino alle coste del Mississippi.
Si tratta di un incidente che avviene in un momento molto delicato per il settore energetico. Non tanto per lo svolgimento dei lavori della COP23 a Bonn, dove le proteste degli ambientalisti e dei paesi più piccoli sono state spazzate via dalla tracotanza degli Usa. Quanto piuttosto perché proprio in questi giorni è prevista la decisione da parte delle autorità del Nebraska circa l’ulteriore prolungamento del Keystone (denominato Keystone XL).
All’inizio del proprio mandato il nuovo presidente americano Donald Trump aveva annunciato la volontà di realizzare questa infrastruttura che “porterà alla creazione di 28mila posti di lavoro e tutte le strutture saranno prodotte in America, come ai vecchi tempi”. Erano subito sorte difficoltà in quanto parte dell’oleodotto attraversa il confine federale e quindi necessitava di un’autorizzazione particolare del governo americano. Questo, insieme con i costi esorbitanti dell’opera, avevano diviso in due l’America: da una parte ambientalisti e media (che temono che l’allungamento dell’oleodotto possa mettere nelle mani della nuova amministrazione un’arma che causerà ulteriori danni all’ambiente), dall’altra, c’è chi sostiene che quest’opera potrebbe consentire all’America di essere meno dipendente dal punto di vista energetico e potrebbe creare nuovi posti di lavoro. Realizzare l’opera secondo alcuni potrebbe anche, strategicamente, rafforzare i rapporti con un paese “amico” come il Canada, a danno di stati meno stabili dal punto di vista politico come quelli arabi o quelli sudamericani.
Per questi motivi, dopo l’elezione di Trump, la realizzazione dell’opera sembrava scontata. A gennaio il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer lodò la decisione di Trump di completare il Keystone XL dicendo che “ha dimostrato con i suoi affari che sa come negoziare un grande accordo”. A marzo lo stesso Trump aveva chiuso l’accordo per la realizzazione del Keystone XL dicendo: “Rappresenta un grande giorno” per l’indipendenza energetica e per i lavoratori.
Per ora di grande, anzi di enorme, c’è solo la macchia di petrolio che ricopre il suolo del Sud Dakota.