Usa. Quando è la Cia a interferire nelle elezioni degli altri paesi…

di C. Alessandro Mauceri –

Continuano senza sosta le accuse rivolte verso la Russia colpevole, secondo gli accusatori, di aver esercitato pressioni sulle elezioni americane del 2016 appoggiando la candidatura a presidente di Donald Trump, a discapito di quella di Hillary Clinton. Secondo le accuse del sistema giudiziario statunitense, i principali responsabili sarebbero i “troll” dell’Internet Research Agency di San Pietroburgo che utilizza i social network per creare e diffondere notizie false. A dirlo sarebbe un documento di 37 pagine presentato dal procuratore speciale statunitense Robert Mueller, a capo dell’indagine sulle presunte interferenze russe nella campagna elettorale americana del 2016, sulle decisioni degli elettori a stelle e strisce.
Peccato che nessuno degli accusatori abbia detto che esercitare pressioni su un paese straniero per ottenere l’elezione di un candidato piuttosto che un altro non è affatto una novità. Meno che meno per gli Stati Uniti d’America. Anzi secondo alcuni, la CIA la Central Intelligence Agency, avrebbe fatto di questa prassi una regola sin dall’inizio, da quando venne creata dalle ceneri della OSS (Office of Strategic Services).
Dov H. Levin, ricercatore all’Istituto di Politica e Strategia dell’Università Carnegie-Mellon, ha consultato per anni i documenti dello spionaggio americano e ha scritto un libro sull’argomento in cui si parla di almeno 81 i casi in cui gli USA hanno cercato direttamente di influenzare elezioni estere in 45 paesi. Senza considerare i casi di intervento militare diretto o indiretto (come quando fecero di tutto per rovesciare il governo di Mohammad Mosaddeq, il primo ministro democraticamente eletto in Iran nel 1953).
A cominciare, ovviamente, dalla nemica di sempre: la Russia. Soprattutto durante la Guerra Fredda, in risposta ai tentativi dell’URSS di espandere il proprio controllo e influenzare le elezioni in altri paesi (per ben 36 volte dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine del ventesimo secolo, secondo Levin). Solo nel 2016 gli americani avrebbero speso ben 6,8 milioni di dollari per “ingaggiare attivisti” e “promuovere l’impegno civico” degli oppositori al governo di Putin in Russia.
Interventi in tutto il pianeta. Dalle Filippine, negli anni ’50, al rilascio di informazioni riservate per danneggiare i marxisti sandinisti e capovolgere le elezioni in Nicaragua, nel 1990, passando per l’Italia e il Giappone, dove gli USA avrebbero cercato di influenzare il risultato di ben quattro distinte elezioni . E poi in Israele, nella ex Cecoslovacchia, in Ucraina, in Kenia, in Libano e in Afghanistan (prima della missione di pace ancora in corso), per citarne solo alcuni. Oltre 81 casi venuti a galla dopo aver spulciato i documenti declassificati della stessa intelligence americana o i report del Congresso sull’attività della CIA. Documenti da cui emergerebbero le pressioni esercitate dalla CIA sulle elezioni in Cile negli anni ’60 o ad Haiti negli anni ’90 o a Malta, nel 1971, o in Nicaragua, nel 1990, in Serbia, nel 2000. Interferenze elettorali che Levin definisce “un atto che comporta un certo costo ed è volto a stabilire il risultato delle elezioni a favore di una delle due parti”. Come? Mediante azioni di propaganda a favore di questo o quel candidato o diffondendo informazioni fuorvianti o materiale utile alla campagna del partito o del candidato favorito fino alla fornitura diretta o indiretta di aiuti economici non sempre trasparenti (anzi il più delle volte nascosti, secondo Levin, come nel caso delle elezioni in Giappone, Libano, Italia e altri paesi).
Pressioni e ingerenze, quelle denunciate da Levin, che sono state confermate anche da un rapporto pubblicato dal New York Times nei giorni scorsi in concomitanza con l’allarme lanciato dal Senate Intelligence Commitee circa pericoli di influencers russi in vista delle prossime elezioni del 2018. Robert Mueller, consigliere speciale, ha denunciato le azioni di 13 russi e tre società gestite da un uomo d’affari con stretti legami con il Cremlino.
Attività che, a dispetto dell’alone di trasparenza e democrazia spesso ostentato da tutti i gruppi politici e i paesi, molti considerano normali: “Se chiedi a un ufficiale dei servizi segreti, i russi hanno infranto le regole o fatto qualcosa di bizzarro, la risposta è no, per niente”, ha detto Steven L. Hall, per 30 anni in servizio alla CIA, dove è stato anche capo delle operazioni russe.
Dello stesso parere Loch K. Johnson, studioso di intelligence americana e membro del Church Comitee del Senato, che ha ribadito che il fatto che la Russia abbia cercato di influenzare le elezioni del 2016 non deve sorprendere: è stata semplicemente la trasformazione della politica degli Stati Uniti nell’era cibernetica. “Abbiamo fatto questo genere di cose sin da quando la CIA è stata creata nel 1947”, ha detto Johnson, ora docente all’Università della Georgia. “Abbiamo usato poster, opuscoli, mailer, banner. Abbiamo messo false informazioni sui giornali stranieri. Abbiamo usato quello che gli inglesi chiamano “la cavalleria di Re Giorgio”: valigie di denaro”.
Prassi normali confermate anche da Vince Houghton, all’epoca membro dell’esercito nei Balcani e a stretto contatto con le agenzie di intelligence, che ha detto di aver visto sforzi americani ovunque. “Abbiamo detto chiaramente che non avevamo intenzione di lasciare Milosevic al potere”, ha affermato Houghton, ora storico dell’International Spy Museum.
Nel 2016, in Russia gli USA avrebbero fatto oltre cento donazioni, per un totale di 6,8 milioni di dollari, a organizzazioni per finanziare “attivisti coinvolgenti” e “promozione dell’impegno civico”.
Non c’è da sorprendersi. A cambiare, negli ultimi anni, è stato solo il “modus operandi”: da azioni dirette come gli interventi militari (rare ma non del tutto eliminate, come dimostrano le numerose missioni “di pace”) e il lancio di volantini si è passati a strategie più sottili. Come il finanziamento di iniziative che possono esercitare pressioni sulla popolazione o “addestrare” gli elettori. Tutte azioni che mettono a rischio l’indipendenza delle decisioni “democratiche” dei cittadini.
Sempre che oggi abbia ancora senso parlare di democrazia.