Usa. Russiagate: Manafort e Gates rinviati a giudizio. Intanto Clinton affila gli artigli

di Enrico Oliari –

L’ex manager della campagna elettorale di Donald Trump Paul Manafort è stato ufficialmente accusato di cospirazione contro gli Stati Uniti, oltre che per altri 11 reati tra cui il riciclaggio ed evasione.
Sono accuse gravissime quelle mosse dal procuratore speciale per il Russiagate Robert Mueller, rischia 80 anni di reclusione, e con lui a finire sulla graticola vi è Rick Gates, uomo d’affari legato al presidente Donald Trump. Per il procuratore esisterebbero quindi chiari legami di uomini del tycoon alla Russia, i quali con tutta probabilità avrebbero usato i loro contatti affinché uno stato straniero potesse interferire nella campagna per le presidenziali. Anche perché, per quanto subito Donald Trump vabbia twittato che “Mi dispiace, ma i fatti per cui è accusato Manafort risalgono a prima che entrasse nella mia campagna elettorale. Con Mosca nessuna collusione”, il periodo che Mueller contesta va dal 2006 al 2017, quindi anche oltre la corsa per la Casa Bianca.
Starebbe quindi in piedi la teoria dell’hackeraggio da parte dei russi di oltre 20mila mail dei democratici divulgate nel giugno 2016 che indicavano un’operazione del comitato centrale del Partito Democratico, che avrebbe dovuto essere neutrale, volta a screditare il candidato alle primarie Bernie Sanders a vantaggio di Hillary Clinton, uno scandalo che fece crollare in breve tempo il vantaggio dell’ex segretario di Stato su Trump di 9 punti
Manafort e Gates hanno accettato la richiesta dell’Fbi di consegnarsi spontaneamente, ma va detto che potrebbero essere solo i primi nomi dell’affaire Russiagate ad essere chiamati in causa.
Manafort già nell’agosto 2016 si era dimesso dal suo ruolo di responsabile della campagna elettorale del candidato repubblicano in quanto risultato essere stato sul libro paga del partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, per delle consulenze da 12,7 milioni di dollari che interessarono il periodo dal 2007 al 2012. Una montagna di denaro evasa, ma anche tanto imbarazzo per l’allora candidato repubblicano: gli inquirenti ucraini avevano informato che da una loro inchiesta su società utilizzate dal cerchio magico di Yanukovich per mantenere un lussuoso stile di vita era saltato fuori un affare di 18 milioni di dollari per vendere partecipazioni della tv via cavo ucraina a una società creata in partnership tra lo stesso Manafort e un oligarca russo, Oleg Deripaska, vicino al presidente russo Vladimir Putin.
Anche l’accusa per riciclaggio riguarda numeri importanti. Secondo Mueller “18 milioni di dollari” che avrebbe usato “per comprare beni, proprietà e servizi negli Stati Uniti”, denaro al quale si aggiungerebbero “oltre 75 milioni di dollari, passati sui conti offshore” di Paul Manafort.
Ammonta invece a 3 milioni di dollari la cifra che Rick Gates avrebbe depositato in conti offshore.
Sia Gates che Manafort dei sono dichiarati “non colpevoli”, ma oltre a loro è stato rinviato a giudizio un ex collaboratore volontario della campagna elettorale di Trump, George Papadopolous, il quale si è già dichiarato colpevole di aver mentito all’Fbi nell’ambito delle indagini sul Russiagate, ovvero “sui tempi, l’estensione e la natura dei suoi rapporti e della sua interazione con certi stranieri che aveva capito avere strette connessioni con alti dirigenti del governo russo”. Gates e Manafort sono ora agli arresti domiciliari ed è stata stabilita una cauzione di 10 milioni di dollari.
Al momento non sono stati fatti altri nomi, ma continuano a rimanere sotto la lente degli inquirenti Michael Flynn, l’effimero consigliere per la Sicurezza nazionale che avrebbe tenuto contatti con la Russia sia prima che dopo la campagna elettorale, addirittura promettendo all’ambasciatore russo a Washington Sergey I. Kislyak l’eliminazione delle sanzioni al suo paese; il genero di Trump, Jared Kushner, pure lui per poco tempo consigliere: avrebbe avuto rapporti con Flynn ma anche con Serghei Gorkov, capo della banca russa Vneshecononmbank, vicina al Cremlino e nell’elenco degli obiettivi delle sanzioni; l’ex ministro Jeff Sessions, volte ascoltato dalla commissione senatoriale dove ha negato sotto giuramento di avere avuto rapporti con i russi durante la campagna elettorale, ma l’Fbi continua a dirsi certa di avere le prove di almeno tre incontri dell’Attorney General con l’ambasciatore russo Kislyak.
Le indagini stanno portando ad un quadro inquietante, l’ipotesi di impeachment per Trump è tutt’altro che remota e qualcuno, come lo lo storico Allan Licthman, la ha già anticipata.
Certo è che la sconfitta Hillary Clinton sta affilando gli artigli, e a settembre ha dichiarati che “Non escludo l’ipotesi di contestare la legittimità della vittoria di Trump nel 2016”.

Robert Mueller. (Foto autoblog.com).