Usa. Russiagate: Mueller mette le mani su Miller, consigliere politico di Trump

di Guido Keller –

Mentre il presidente Usa Donald Trump si trova in oriente per il vertice Apec e per cercare di riequilibrare la bilancia commerciale con Cina e Corea del Sud, il procuratore speciale per il Russiagate, Robert Mueller, non ha rallentato il suo lavoro e, dopo aver messo le mani su Paul Manafort e Rick Gates, ha voluto vederci chiaro sul ruolo di Stephen Miller, consigliere politico del presidente e figura di primissimo piano alla Casa Bianca.
Il possibile coinvolgimento di Miller, uno degli uomini più influenti su Trump, nello scandalo del Russiagate è al momento circoscritto al siluramento del 9 maggio scorso del capo dell’Fbi James Comey, il quale stava indagando proprio sulla collaborazione dello staff del presidente con i russi, ma già si parla di un incontro risalente al marzo di quest’anno, a cui Miller era presente, durante il quale il consigliere di politica estera del presidente, George Papadopoulos, si propose per organizzare un incontro tra Trump e Vladimir Piutin.
Miller entra quindi in pieno nel caso del Russiagate, l’affaire che vedrebbe uomini di Trump aver interagito con i russi per ottenere un aiuto determinante grazie all’hackeraggio di oltre 20mila mail dei democratici divulgate nel giugno 2016 che indicavano un’operazione del comitato centrale del Partito Democratico, che avrebbe dovuto essere neutrale, volta a screditare il candidato alle primarie Bernie Sanders a vantaggio di Hillary Clinton, uno scandalo che fece crollare in breve tempo il vantaggio dell’ex segretario di Stato su Trump di 9 punti.
Con l’interrogatorio di Miller, il procuratore speciale Robert Mueller è arrivato più che mai vicino a Trump: il nome di Miller è considerato infatti quello più importante rilevato fino ad oggi nel quadro del Russiagate.
Intanto cominciano ad affiorare sempre più dettagli sul ruolo di Paul Manafort e di Rick Gates, il primo ex manager della campagna elettorale di Donald Trump e il secondo uomo d’affari molto legato al presidente: uno specialista in relazioni e contatti di New York ha infatti reso noto che già nel 2012 Paul Manafort e Rick Gates gli avevano chiesto fare attività di lobbying in Ucraina pagandolo attraverso conti offshore. Manafort e Gates restano al momento ai domiciliari, ma rischiano pene pesantissime.
Manafort già nell’agosto 2016 si era dimesso dal suo ruolo di responsabile della campagna elettorale del candidato repubblicano in quanto risultato essere stato sul libro paga del partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, per delle consulenze da 12,7 milioni di dollari che interessarono il periodo dal 2007 al 2012. Inoltre gli inquirenti ucraini avevano informato che da una loro inchiesta su società utilizzate dal cerchio magico di Yanukovich per mantenere un lussuoso stile di vita era saltato fuori un affare di 18 milioni di dollari per vendere partecipazioni della tv via cavo ucraina a una società creata in partnership tra lo stesso Manafort e un oligarca russo, Oleg Deripaska, vicino al presidente russo Vladimir Putin.
Oltre a Miller, Manafort e Gates, gli altri nomi del pasticcio Russiagate, per il quale Hillary Clinton sta affilando gli artigli in quanto potrebbe tradursi persino con l’impeachment per Trump, sono Michael Flynn, l’effimero consigliere per la Sicurezza nazionale che avrebbe tenuto contatti con la Russia sia prima che dopo la campagna elettorale, addirittura promettendo all’ambasciatore russo a Washington Sergey I. Kislyak l’eliminazione delle sanzioni al suo paese; il genero di Trump, Jared Kushner, pure lui per poco tempo consigliere: avrebbe avuto rapporti con Flynn ma anche con Serghei Gorkov, capo della banca russa Vneshecononmbank, vicina al Cremlino e nell’elenco degli obiettivi delle sanzioni; l’ex ministro Jeff Sessions, più volte ascoltato dalla commissione senatoriale dove ha negato sotto giuramento di avere avuto rapporti con i russi durante la campagna elettorale, ma l’Fbi continua a dirsi certa di avere le prove di almeno tre incontri dell’Attorney General con l’ambasciatore russo Kislyak.