Usa. Russiagate: riascoltato dagli inquirenti il segretario alla Giustizia Sessions

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Nel quadro delle indagini per il Russiagate, ovvero delle interferenze russe nella campagna elettorale per le presidenziali Usa, gli inquirenti coordinati dal procuratore speciale Robert Mueller hanno ascoltato nuovamente il segretario alla Giustizia Jeff Sessions. Alla base dell’interrogatorio vi è il fatto che dalle risultanze è emerso che Session ha mentito nel corso dell’audizione in Congresso come pure nei precedenti interrogatori, in particolare su due suoi incontri durante la campagna elettorale con l’allora ambasciatore russo a Washington Sergei Kislyak. Aveva inoltre preso parte alla decisione, assunta dal presidente Donald Trump, di silurare il capo dell’Fbi James Comey.
Nell’interrogatorio di novembre si era tenuto sul vago affermando che “Certe volte andavamo in molti posti in un giorno. Si dormiva poco ed ero ancora un senatore a tempo pieno, con un’agenda molto piena”, ed aveva contrattaccato ritornando sui legami di Hillary Clinton e del suo team con la Russia, nella fattispecie gli accordi intessi dalla fondazione dell’ex segretario di Stato circa l’accordo sull’uranio nel periodo in cui era presidente Barak Obama.
A sua difesa Session ha sempre sostenuto di essersi opposto ad un eventuale “incontro di Trump con Putin”.
I nomi che girano sul Russiagate sono quelli, oltre che di Sessions, sono quelli dell’effimero consigliere alla Sicurezza Michael Flynn, il quale ha dichiarato al procuratore speciale Robert Mueller di aver ricevuto dal genero di Donald Trump, Jared Kushner, l’ordine di prendere contatto con i russi. Flynn aveva promesso (secondo le accuse) all’ambasciatore russo Kislyak l’eliminazione delle sanzioni al suo paese; del consigliere politico del presidente e figura di primissimo piano alla Casa Bianca Stephen Miller, interrogato da Mueller in merito al siluramento del 9 maggio 2017 del capo dell’Fbi James Comey, il quale stava indagando proprio sulla collaborazione dello staff del presidente con i russi; di Paul Manafort, ex manager della campagna elettorale di Donald Trump ma risultato essere stato stato sul libro paga del partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich (consulenze per 12,7 milioni di dollari) e per un affare da 18 milioni di dollari inerente la vendita di partecipazioni della tv via cavo ucraina a una società creata in partnership tra lo stesso Manafort e un oligarca russo, Oleg Deripaska, vicino al presidente russo Vladimir Putin; di Rick Gates, uomo d’affari vicinissimo a Trump ma che ha svolto attività in Ucraina e Russia depositando i proventi in conti offshore; del genero di Trump, Jared Kushner, pure lui per poco tempo consigliere: avrebbe avuto rapporti con Flynn ma anche con Serghei Gorkov, capo della banca russa Vneshecononmbank, vicina al Cremlino e nell’elenco degli obiettivi delle sanzioni.