Venezuela. Antonio Mendoza, ‘L’ Ue dia a chi fugge lo status di rifugiati’

“A Caracas oggi non si vive, si può soltanto morire”. Parla lo scrittore, giornalista, poeta da venticinque anni in Italia, “La mia terra è occupata dai cubani. Maduro è stato scelto da Raùl Castro”

di Daniele Priori

Il Venezuela è sotto il completo controllo del regime cubano. Maduro è stato scelto da Raul Castro. L’Unione Europea dovrebbe alzare la voce in ambito internazionale e concederci lo status di rifugiati, perché questo siamo. In Venezuela ormai non si vive più. Si muore soltanto”. Parola di Antonio Mendoza, scrittore, poeta, giornalista, appassionato e finissimo conoscitore della musica e di numerosi aneddoti su musicisti e scrittori venezuelani, attivo da venticinque anni presso il circolo della Stampa Estera dove non è infrequente incontrarlo ed è possibile trascorrere mattinate a parlare di politica, letteratura, musica, dell’Italia e del suo Venezuela, di come la libertà abbia più e più volte intralciato la strada dei regimi, finendone vittima senza tuttavia essere stata mai sconfitta. L’opera poetica imponente e impertinente di Mendoza, la carica ideale di esule e appassionato di cose venezuelane, e in esse di diritti umani e civili, ci porta a consultarlo con un curioso e ben riposto interesse, all’indomani delle elezioni presidenziali che hanno portato alla rielezione di Maduro, definite farsa da tutti gli analisti occidentali.

– Antonio, lei scrittore, poeta, giornalista in Italia da molti anni, già dai tempi di Chavez si definiva quasi un esule dalla sua patria. Ci racconti in poche righe il Venezuela che ha lasciato e, se ha contatti dall’Italia, quello che è diventato oggi dopo gli ultimi assurdi quattro anni?
Il Venezuela che lasciai nel 1992 e definitivamente nel 1999 era un paese ricco e democratico, ma gestito male e in preda al populismo. Acciòn Democratica (AD equivalente del Psi in Italia ndr) e Copei (Comité de Organizaciòn Politica Electoral Independiente (partito popolare, democristiano ndr) si spartivano la torta, sempre però lasciandone un pezzo agli altri. Tuttavia anziché investire la ricchezza prodotta dal petrolio in salute, educazione, cultura, agricoltura e industria praticarono uno sperpero frenetico, carnevalesco. La corruzione era divenuta totale. Da questa crisi emerse una voce nuova: Chàvez. Io avevo capito che l’idolo petrolifero aveva i piedi di argilla e che il messia mulatto odorava a legge di Murphy, per questo me ne andai prima della debacle chavista. Io non scappai dal chavismo, scappai dal Venezuela”.

– Eppure le intenzioni di Chavez parevano le migliori. Uno dei primi atti dopo il suo arrivo al potere fu la trasformazione del Venezuela in “Repubblica bolivariana”. Cosa c’è di vero in questo aggettivo per il fu regime di Chavez e per quello attuale di Maduro?
Esiste una “Repubblica Garibaldina d’Italia? O una Repubblica Rooseveltiana del Panama? Sono slogan. Nessun totalitarismo ha un’ideologia. Le idee sono alibi, scuse per giustificare i fatti e le malefatte. Chi lo disse papale papale fu il nefasto Roland Freisler: ‘L’unica legge del Reich è la volontà de Führer’. E le idee di Bolìvar sono state deliberatamente traviate da sempre. Manipolate, oscurate o cancellate. Molto materiale storico fu deliberatamente distrutto perché scomodo alla memoria e all’utilizzo del Libertador”.

– Il rapporto con Cuba ora che i Castro stanno, almeno anagraficamente, arretrando, tiene o il Venezuela è isolato anche da quel punto di vista?
Il Venezuela è stato invaso dai cubani. Considerando l’annuenza che Castro ebbe tra i radical-chic, Chàvez si aggrappò alla salma vivente che portava bella luce sul suo volto abbronzato. Fidel è stato un’icona radical-chic, nonché colui il quale ha mantenuto in vita una intellighenzia corrotta e compiacente. Mi riferisco all’Europa, giacché sappiamo che fine fecero a Cuba Heberto Padilla o Reinaldo Arenas… In ogni caso oltre ai talismani politici, i cubani fornirono a Chàvez una struttura di spionaggio e di controllo, una Gestapo caraibica. Gli ‘assessori’ sono dei veri e propri agenti segreti, e non tanto. Chàvez voleva essere il delfino di Fidel e creare una Federazione Cuba-Venezuela da lui presieduta. Ma la Grande Mietitrice e la furbizia di Raùl Castro rovesciarono i ruoli: così il Venezuela è oggi sotto il controllo dei cubani. Maduro venne scelto dall’Avana”.

– Cosa pensa del tentativo di mediazione dell’ex premier spagnolo Zapatero… Che peraltro è stato molto duro con l’Unione Europea?
Zapatero, Maradona, Sean Penn, Oliver Stone, Hebe Bonafini sono solo dei lacchè. Non lodano gratis: baciano la mano che riempì e riempie di oro la mano loro”.

– Secondo lei l’Unione Europea per il Venezuela di oggi può realmente fare qualcosa?
L’Unione Europea dovrebbe anzitutto alzare la voce, quindi concedere ai venezuelani all’estero lo status di rifugiati perché lo siamo”.

– Ha avuto qualche tipo di rapporto con l’ambasciata venezuelana in Italia da quando vive qui?
Stavo per avere un lavoro all’ambasciata quando l’ambasciatore Fernando Gerbasi cadde in disgrazia, e io con lui… per aver tradotto in italiano un libro di poesia di suo padre, il grandissimo poeta Vicente Gerbasi. Con l’attuale ambasciatore Isaìas Rodrìguez ho avuto un ottimo rapporto personale ma a livello istituzionale sono persona non gradita. E mi dispiace, perché la mia conoscenza della cultura venezuelana è al servizio del Venezuela, anche se a loro può non far piacere… Parlare dell’omosessualità di Reynaldo Hahn e del suo rapporto con Proust mi marchiò come Caino. E conosco Hahn da prima che tornasse in luce come uno dei compositori più raffinati mai esistiti e come l’artista più precoce della storia. Iniziò a tre anni, due meno di Mozart…”.

– A Caracas oltre alla sua amata collezione di dischi c’è ancora qualcosa che può farla sperare, un giorno, di tornare nella sua terra natia?
Il grande scrittore venezuelano Adriano Gonzàlez Leòn diede al suo migliore romanzo il titolo di “Paìs Portàtil”. Il mio Venezuela me lo porto con me ogni volta che condivido su Facebook le canzoni di Hahn o i walzer di Teresa Carreño, quando leggo le poesie di Antonia Palacios o i racconti di Oswaldo Trejo, quando scrivo su Aquiles Machado o su Gabriela Montero, quando racconto le cose che combinarono lì Novella Parigini o Silvana Pampanini. Una volta portate via le mie cose (stanno lì: tanto il regime chavista non ruba la cultura) lascerò per sempre quella terra. Il grandissimo Josè Ignacio Cabrujas -comunista pentito e lucido analista- chiamò il Venezuela “equivocaciòn de la Historia”: sbaglio della storia. io nacqui lì per sbaglio. Perdono quella terra perché mi ha dato la sua cultura e lì sono nato all’amore. Ma lì imparai pure che patria non è dove si nasce o dove si vive ma dove si può vivere. E oggi, in Venezuela, si può solo morire”.