“Vento di cambiamento” al 28mo Summit dell’Unione Africana

di Elisa Sguaitamatti –

Il 30 e 31 gennaio si è svolta la 28ma sessione ordinaria dell’Assemblea dell’Unione Africana ad Addis Abeba – la capitale della diplomazia africana – in cui si sono riuniti i Capi di Stato e di governo dei 54 Paesi. All’evento erano presenti anche alcune personalità internazionali quali il neo segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas e il vicepresidente di Cuba Salvador Mesa.
Nel suo discorso di apertura, la presidente uscente della Commissione dell’Unione Africana, Nkosazana Dlamini Zuma, ha evidenziato i progressi compiuti durante il suo mandato: il miglioramento della libertà di movimento, lo sviluppo delle reti di collegamento e la fine della pratica del child marriage. Per il 2017 rimangono sul tavolo la possibile creazione di una Free Trade Area per favorire il commercio intra-africano – che è storicamente inferiore rispetto a quello dei singoli Stati con il resto del mondo – e gli ambiziosi obiettivi di trasformazione socio-economica dell’Agenda 2063 che prevedono l’attuazione di iniziative per la crescita e per lo sviluppo sostenibile per un’Africa “unita, pacifica e di successo”.
La signora Zuma, ex moglie dell’attuale presidente sudafricano, ha ricordato anche la morte di Fidel Castro, eroe per molti africani “fondamentale nella lotta globale contro il colonialismo e l’imperialismo e difensore del non-allineamento e dell’unità del Paesi del Sud. I suoi aiuti all’Africa sono memorabili: il sostegno ai movimenti di liberazione, ai nuovi stati indipendenti, tutto con uno spirito di solidarietà, amicizia, internazionalismo e rispetto reciproco”. Gettando uno sguardo all’attualità, è stato forte il messaggio di condanna della Presidente uscente verso gli Stati Uniti per la nuova politica migratoria di Trump che vieta l’ingresso negli USA ai cittadini di Libia, Somalia e Sudan. “Il Paese dove i nostri popoli sono stati portati come schiavi ha deciso ora di vietare l’ingresso ai rifugiati di alcuni Stati. È chiaro che a livello mondiale stiamo entrando in tempi molto turbolenti. Si tratta di una delle più grandi sfide alla nostra unità e solidarietà”. Il 2017, ha citato ancora la leader sudafricana, è anche l’anno in cui si celebrano i 55 anni dalla creazione della Pan African Women’s Organisation (PAWO) nel 1962, un anno prima dell’Organizzazione dell’Unità Africana (antesignana dell’attuale Unione fondata nel 2002). Per questo, in memoria delle donne che fondarono il movimento, la signora Zuma ha chiesto all’Assemblea di riconoscere PAWO come agenzia specializzata dell’Unione Africana, per continuare la battaglia per conferire potere a ragazze e donne africane in tutti i settori della società e garantire un accesso all’istruzione.
Durante la prima giornata, è stato fatto un bilancio dell’operato dell’organizzazione e si è discusso delle numerose sfide che la attendono. Quest’anno l’argomento centrale era Harnessing the Demographic Dividend through Investments in Youth, che rispecchia l’esigenza di un approccio integrato per sostenere i giovani e migliorare le loro prospettive investendo sul futuro. Gli Stati Membri si sono impegnati a creare incentivi per nuove opportunità di istruzione e di sviluppo in modo da accorciare i divari socio-economici che oggi interessano i più giovani. La Commissione ha anche presentato programmi di diversificazione economica, modernizzazione e sviluppo agricolo indirizzato a creare posti di lavoro per i nuovi imprenditori.
Tuttavia, l’organizzazione panafricana ha dovuto necessariamente pensare anche al suo futuro istituzionale. Il processo di modifica dovrà delineare riforme pratiche e tecniche delle sue strutture, senza intaccare gli obiettivi e i principi dell’Unione. Ad un anno di distanza è stato illustrato e approvato il report del presidente ruandese Kagamé, incaricato di presentare una proposta sulle riforme istituzionali, il miglioramento dell’operatività, delle capacità di risposta durante le emergenze, della governance e delle modalità di autofinanziamento dei suoi progetti.
Tra gli eventi principali del Summit si può annoverare anche la riammissione del Marocco nell’Unione dopo 33 anni di assenza, con i soli voti contrari di Algeria e Sudafrica che supportano l’autodeterminazione del popolo Sahrawi. Nel 1984 il Marocco si era ritirato in seguito all’ammissione della Repubblica democratica araba dei Sahrawi che rivendica sovranità sul Sahara Occidentale, mentre il Marocco lo considera parte integrante del suo territorio. Questa vittoria si deve in parte allo sforzo del Re Mohammed VI, figlio di Hassan II, che nel 2016 si era speso in una campagna di sensibilizzazione per la riammissione, con visite a carattere politico ed economico per incrementare il peso economico degli investimenti marocchini.
A livello istituzionale si sono risolte due questioni importanti: la presidenza di turno dell’Unione è stata affidata al presidente della Guinea Alpha Condé, che sostituisce il presidente del Chad Idriss Deby Itno. Condé, premiato per il suo ruolo avuto nella mediazione nella crisi politica in Gambia delle scorse settimane, nel suo discorso di accettazione ha dichiarato che “è con onore e umiltà che accetto di presiedere l’organizzazione quest’anno e prometto di garantire che vengano implementati tutti gli obiettivi che ci siamo prefissati in merito allo sviluppo del nostro continente”. Inoltre, è stato nominato il nuovo presidente della Commissione dell’Unione Africana, il ministro degli Esteri del Chad Moussa Faki Mahamat, 56 anni, ottenendo 39 voti su 54. Faki è noto a tutti per il suo impegno in prima linea nel contrasto agli estremisti in Nigeria, Mali e Sahel: nel suo discorso di insediamento, ha evidenziato come sviluppo e sicurezza siano i due punti chiave della sua futura agenda politica.
Nel corso del vertice si è verificato lo stato di alcune questioni “calde”: prioritaria nelle cancellerie di Egitto, Sudan ed Etiopia è la costruzione della Diga della Rinascita. Una volta terminata, formerebbe un lago artificiale di 63 miliardi di metri cubi di acqua, divenendo il sistema idroelettrico più imponente di tutta l’Africa. L’Egitto, inizialmente preoccupato per le conseguenze ambientali sull’habitat del Nilo e le quote d’acqua, sembra aver cambiato idea dopo le rassicurazioni dell’Etiopia sulla produzione esclusiva di energia. Rimane invece irrisolta la diatriba sull’accordo internazionale da concludere in merito alla spartizione delle quote d’acqua del Bacino del Nilo a ciascuno Stato.

Il re del Marocco Mohammed VI con il presidente del Ruanda Paul Kagame.

Altro tema di discussione è stato quello del terrorismo che non rappresenta più solo una fonte di instabilità all’interno dei singoli Paesi, ma è divenuta una vera minaccia transnazionale in costante evoluzione in diversi contesti regionali. Per la minaccia terroristica in Sahel e in Libia l’Unione ha delineato una nuova peace roadmap e un High Level Committee composto dai Paesi limitrofi e auspica la ripresa del dialogo per la formazione di un Governo di unità nazionale. Inoltre, al Summit è stato approvato un Fondo Speciale per prevenire il reclutamento e la radicalizzazione tra i giovani e per combattere alcuni movimenti terroristici come Boko Haram che è un movimento destabilizzatore in Nigeria e oltre confine, al Shaabab – le cui attività sono spesso sconfinate in Kenya – e il Lord’s Resistance Army. Nel quartier generale dell’Unione Africana, in contemporanea al vertice, si è svolto un evento per gettare le basi del Committee of Intelligence and Security Services of Africa, dopo l’approvazione di una risoluzione dell’organizzazione nel 2005 che interpretava l’esigenza di condivisione di informazioni sulle minacce transazionali alla sicurezza, che dunque richiedono cooperazione multilaterale tra Intelligence e Servizi di Sicurezza africani.
Nella seconda giornata del vertice, l’avvenimento più significativo riguarda la scelta dei leader africani di adottare una strategia per un ritiro collettivo dalla Corte Penale Internazionale, ultima espressione dell’impazienza verso una Corte che, secondo i critici, si è eccessivamente focalizzata sull’Africa per perseguire casi di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Questa decisione non vincolante, che poi verrà presa dai singoli Stati Membri, segue gli annunci di ritiro dalla Corte Penale Internazionale di Sudafrica e Burundi. In cambio, la strategia raccomanda che i Paesi si impegnino a rafforzare i meccanismi giudiziari nazionali e a espandere la giurisdizione del Tribunale africano per i diritti umani e dei popoli.
Nella fase finale del Summit, è avvenuta la nomina del Presidente dell’Uganda Museveni come negoziatore per le riforme sull’immigrazione che comincerà le trattative sulla gestione delle politiche migratorie direttamente con l’Unione Europea. Un portavoce dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea Federica Mogherini ha espresso l’interesse a lavorare con l’Unione Africana e con il Marocco per rafforzare la partnership crescente con il continente africano.
Nel suo discorso conclusivo, la presidente uscente della Commissione Nkosazana Dlamini Zuma ha affermato che “la forza dell’Africa risiede nella sua unità e nel panafricanismo. Non dovremmo quindi più permettere che niente e nessuno ci divida, ma coordinarci e adottare posizioni comuni. Di certo ci saranno altre sfide, ma credo comunque che nessuna sfida sia insuperabile quando vi sono determinazione, persistenza e fiducia nelle proprie capacità”.