Vince la Brexit: i londinesi non sono più cittadini europei

di Guido Keller –

brexit grandeLa Gran Bretagna è fuori dall’Unione Europea. Gli exit opinion, che davano la vittoria del “no” alla Brexit con il 52 per cento, sono svaniti come nebbia al sole davanti ai risultati reali che hanno premiato il “Leave” con un distacco risicato, 48,1 contro 51,9 per cento. La vittoria del “Remain” era data in un primo momento come certa al punto che uno dei leader del fronte pro-Brexit, l’Ukip Nigel Farage, aveva commentato a caldo che “abbiamo perso la battaglia, ma in fondo abbiamo vinto, dal momento che quasi la metà del paese ha votato con noi. L’Unione Europea è destinata al fallimento, e vinceremo quindi la guerra”. Solo dopo poche ore Farage ha esultato, come gli altri leader del fronte pro-Brexit Boris Jonhson e Michael Gove.
La notte è stata da cardiopalmo, con i fronti del “Leave” e del “Remain” in continuo reciproco sorpasso a seconda di come arrivavano i dati dalle operazioni di scrutinio; la sterlina è stata prima in caduta libera, poi in graduale ripresa e di nuovo in discesa, con – 7 per cento, i Future sono dati in perdita del 6 per cento. A pesare il risultato della Scozia, per il Remain ma nettamente al di sotto delle aspettative.
I britannici da oggi non sono più cittadini dell’Unione, nonostante i molti inviti (e le minacce) dei vari leader europei a favore del “Remain”. Solo poche ore prima del voto il capo della Commissione europea Jean-Claude Juncker aveva ribadito che “Out is out”, che non vi sarebbe stata “nessuna rinegoziazione” con la Gran Bretagna in caso di Brexit.
L’uscita dalla Casa comune è arrivata nonostante già la Gran Bretagna, che non aderisce ne’ a Schengen ne’ all’euro, avesse una sorta di statuto speciale rispetto agli altri 27 membri dell’Unione per via dei trattati di adesione, con la possibilità di sottrarsi ai dettami di Bruxelles su diversi temi, quali la politica interna o l’immigrazione anche comunitaria. Ed in febbraio Londra aveva ottenuto dai Ventotto un accordo volto ad evitare il referendum con una serie ulteriore di concessioni che prevedevano l’esenzione dal principio dell”’Unione sempre più stretta”, base del Trattato di Roma del 1957, la non partecipazione a un esercito unico europeo, la non partecipazione ai piani di salvataggio economico degli altri paesi, pur mantenendo la supervisione sulle banche, il diritto di prendere sempre e comunque posizione come pure di avere autonome iniziative e via dicendo.
Un paese con un’Europa à la carte, insomma.
Contrariamente a quanto si pensava, le classi popolari non si sono lasciate intimorire da quel passo verso l’ignoto rappresentato dall’uscita dall’Unione Europea, con costi che poi potrebbero ricadere su loro stesse.
Nonostante la raccolta di firme da parte dei conservatori per farlo desistere, il premier David Cameron dovrebbe lasciare il numero 10 Downing Street e rimettere il mandato nelle mani della regina.
Pochi giorni fa il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk aveva affermato sulla tedesca Bild che in caso di Brexit ci vorranno due anni per sciogliere i contratti in corso tra l’Ue e la Gb, ma poi toccherebbe a “ognuno dei 27 stati membri e al Parlamento europeo di approvare il risultato finale. Questo richiederebbe almeno cinque anni e io credo che sarebbe senza garanzia di successo a ogni tornata”.

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