Yemen, dove la paura corre di più del colera. Ne parliamo con l’imam Amin al-Hazmi

di Saber Yakoubi –

La guerra nello Yemen ha preso il via nel gennaio 2015 a seguito del golpe degli houthi (sciiti), dietro al quale vi sarebbe l’Iran (che però nega): per mesi i ribelli avevano chiesto invano alcuni riconoscimenti come l’inserimento di 20mila appartenenti alla minoranza sciita nelle forze armate governative, l’assegnazione di 10 ministeri e l’inclusione nella regione di Azal, di Hajja e dei governatorati di al-Jaw. L’intervento della coalizione a guida saudita e che vede coinvolti Egitto, Sudan, Giordania, Marocco, Bahrain, Qatar e Emirati Arabi Uniti, ha permesso la ripresa di una parte dei territori, in particolare del governatorato di Aden, roccaforte del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, mente la capitale e le zone dei principali impianti petroliferi resta saldamente in mano ai ribelli sciiti, che sostengono l’ex presidente Ali Abdallah Saleh.
A nulla sono valsi fino ad oggi gli sforzi dell’Onu per arrivare almeno ad una tregua duratura, promossi dall’inviato Ould Cheikh Ahmed.
Il quadro più preoccupante è tuttavia la situazione umanitaria che sta interessando il paese mediorientale, precipitato nel baratro a causa del conflitto ma anche dell’epidemia di colera in corso, dei molti profughi e del sistema sociale ormai inesistente.
Tuttavia c’è un male che corre di più del colera, ed è la paura, l’incertezza per i futuro.
Lo spiega a Notizie Geopolitiche l’imam Amin al-Hazmi, yemenita, impegnato a Brescia nella guida spirituale della comunità islamica e promotore per il dialogo interreligioso, tanto che il giorno dell’intervista era nella moshea di via Corsica con il vescovo della città Luciano Monari.

– La crisi dello Yemen prende il via ufficialmente con il golpe degli Houti, sciiti e sostenitori dell’ex presidente Ali Abdallah Saleh. Una motivazione quindi prima di tutto politica. Nonostante questo Lei ci chiede di affrontare il tema Yemen senza approfondire gli aspetti politici. Perché?
Io sono un imam, non un uomo di politica, la politica non mi riguarda. Sono un uomo di religione che richiama alla pace, con un compito quindi spirituale. La mia causa principale è l’essere umano, le sue sofferenze e i suoi problemi ovunque sia, di qualsiasi religione, razza o ovunque si trovi”.

– Vediamo quindi altri aspetti, non meno importanti di quelli geopolitici: nello Yemen è in corso la peggiore epidemia di colera al mondo: ha notizie di prima mano?
“Per le notizie mi affido alla conferenza stampa tenuta dagli uffici Onu: si parla di 246mila casi accertati e di 1.500 morti nel giro di due mesi. Noi stessi yemeniti all’estero non abbiamo la possibilità di raccogliere dati e informazioni di prima mano in quanto gli aeroporti sono praticamente chiusi, non è facile neppure per noi recarci nel nostro paese anche per la situazione caotica, dove magari in una zona al mattino c’è un gruppo armato che comanda e al pomeriggio un altro. Gli aeroporti, quei pochi che funzionano, un momento sono controllati da miliziani di una parte e poco dopo di una seconda fazione. Solo pochi paesi hanno linee per lo Yemen, tra cui il Sudan e la Giordania, per cui può immaginare quale sia la difficoltà degli spostamenti. Il paese è di fatto isolato, gli aerei yemeniti oggi si muovono solo per politici e diplomatici, che partono da Aden o da Seiyun”.

Come si vive oggi nello Yemen?
Il paese è in ginocchio, si vive con la paura di essere bombardati, lo Stato non è in grado di pagare i funzionari, tutto è bloccato, in pratica è una terra di nessuno. C’è un dramma nello Yemen peggiore dell’epidemia di colera, cioè la paura, l’incertezza per il futuro. Un amico mi ha scritto della morte dello zio, ma mi testimoniava il timore di essere il prossimo, un sentimento diffuso tra la popolazione che si sta allargando e che corre di più del colera. La gente non ha più soldi per pagare ciò che serve, gli ospedali non funzionano: lo Yemen oggi è ridotto ad uno stato primitivo, dove la sicurezza non c’è. Stiamo parlando di gente, gli yemeniti, che vedono la morte con i propri occhi o che sentono parlare di morte, in continuazione”.

– Nello Yemen, tuttavia, l’emergenza umanitaria non è di oggi, tant’è che si parla da sempre del problema della malnutrizione: ritiene che i vari governi non abbiano fatto abbastanza per la popolazione dello Yemen?
“Non possiamo dire che vi sono innocenti, tutti i governi passati hanno una grande responsabilità per la situazione in cui è precipitata la nazione. Quando vedi uno situazione e poi ne vedi un’altra peggiore, è chiaro che ci sono individui che sono chiamati a rispondere di quanto hanno causato”.

– La Lega Araba, in primis l’Arabia Saudita, sta bombardando lo Yemen e quasi sempre vengono colpite strutture civili, persino scuole e ospedali. Un’iniziativa, quella saudita, che fino ad oggi non ha prodotto risultati concreti: è forse il caso che si torni al dialogo e si cerchi il compromesso?
Io sono un uomo di pace e credo che la guerra non il mezzo per arrivare alla pace. La prima e l’ultima vittima di quanto sta accadendo è lo yemenita comune, per cui prima o poi saranno costretti a tornare al tavolo della contrattazione. Non so quanti yemeniti moriranno, ma è certo che solo un cessate-il-fuoco generale potrà porre fine a questo bagno di sangue”.

– Ritiene l’intervento dei vari paesi della Lega Araba a sostegno di Abd Rabbih Mansur Hadi necessario e quindi da continuare o un errore che si ripercuote sulla popolazione?
“Abd Rabbih Mansur Hadi è il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale, e devo anche dire che i conflitti nella regione stanno incidendo sulla sua figura: la legittimità del presidente è messa in discussione prima di tutto dai paesi circostanti, e questo è uno sbaglio enorme, perché i politici non devono avere come priorità chi governa ma l’essere umano. Che nello Yemen sta morendo”.

– Il supporto all’emergenza umanitaria nello Yemen da parte della comunità internazionale sia appropriato o insufficiente?
Non ho informazioni precise sotto questo aspetto, posso solo ribadire che lo Yemen sta attraversando un momento molto difficile, che sta camminando sulla via dell’ignoto, e a dirlo non sono solo io. Da questo possiamo dedurre che la comunità internazionale sta in qualche modo venendo meno dai propri doveri. Anche a livello mediatico la crisi in corso nello Yemen non sta riscuotendo l’interesse dovuto, le organizzazioni per i diritti umani sono quasi assenti. Non dico che non ci sono, ma se vede altri paesi capisce che altrove stanno facendo tantissimo, mentre nello Yemen siamo a livelli minimi. Ad esempio, dei profughi interni yemeniti non si parla: ci vorrebbe più pressione mediatica e più impegno delle organizzazioni depor i diritti civili, e fino a quando ciò mancherà i politici continueranno a fare quello che vorranno”.

– Vi sono iniziative degli emigrati yemeniti in Italia per la popolazione?
In Italia ci sono pochissimi yemeniti, ci possiamo contare sulle dita di una mano. E’ tra la comunità arabo-musulmana si ha la percezione di quanto sta accadendo, vorrei citare la Relief Islamica Italia, che sta contribuendo fattivamente all’emergenza.
In Germania, dove la comunità yemenita è più presente, vi è l’Associazione di Amicizia yemenito-tedesca: anche in questo caso si tratta di un impegno importante, ma sempre una goccia nel mare del disastro umanitario in cui versa lo Yemen”.