
di Anceo Agostini –
Il 24 dicembre 1979, 45 anni fa, con lo sbarco di un gruppo di paracadutisti della 103ma divisione all’aeroporto di Bagram, iniziava l’invasione sovietica dell’Afghanistan. L’intervento militare sovietico era stato ripetutamente sollecitato dal governo della RDA e dal Partito Democratico Popolare Afghano per combattere le forze antigovernative rappresentate principalmente dai gruppi fondamentalisti islamici passati alla storia come mujaheddin. Se inizialmente il Politburo del CC del PCUS aveva sperato di far fronte alla situazione con un consistente invio di consiglieri militari a supporto dell’esercito afghano, successivamente davanti al dilagare di tumulti in seno all’esercito e delle lotte intestine anche all’interno del partito di governo culminate nel settembre 1979 con l’assassinio del leader del PDPA Taraki, il 12 dicembre venne presa la decisione di inviare l’esercito.
L’obiettivo era quello di mantenere un cordone sanitario contro la possibile diffusione del fondamentalismo islamico e di disordini interetnici nelle limitrofe repubbliche sovietiche dell’Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, Kazakistan. La precauzione non era completamente infondata, considerato che alcuni mesi prima in Iran, a seguito della “Rivoluzione islamica”, era stata abolita la monarchia e proclamata la Repubblica Islamica.
L’esito disastroso della guerra, durata quasi 10 anni, per un verso si rivelò una delle cause che determinarono il crollo dell’Unione Sovietica e di tutto il blocco socialista, per l’altro scoperchiò il vaso si Pandora del terrorismo islamico. Gli attentati terroristici di matrice jihadista dall’11 settembre fino alla recente strage del mercatino di Natale a Magdeburgo, direttamente o indirettamente, discendono questa disfatta. E ad arginare il dilagare delle violenze di matrice fondamentalista a nulla sono valse le innumerevoli operazioni zoonimiche e non: Sostegno Risoluto, Achille, Volcano, Anaconda, Mangusta, Medusa, Falco, Aquila e giù di lì lanciate dalle forze euro-atlantiste nel corso della ventennale transizione democratica dell’Afghanistan a partire dal 2001.
Nel 1998, grazie a un’intervista concessa da Zbigniew Brzezinski a “Le Nouvel Observateur” l’opinione pubblica mondiale viene a scoprire che gli avvenimenti del dicembre del 1979 erano il risultato di una riuscita “operazione” segreta degli Stati Uniti.
Riporto alcuni stralci dall’intervista dell’allora consulente per la sicurezza nazionale dell’amministrazione del presidente Jimmy Carter.
– Le Nouvel Observateur: L’ex direttore della CIA Robert Gates afferma nelle sue memorie che i servizi segreti americani iniziarono ad aiutare i mujaheddin afghani sei mesi prima dell’intervento sovietico. All’epoca lei era consigliere per la sicurezza del presidente Carter. Quindi ha avuto un ruolo chiave in questa vicenda? Può confermarlo?
Zbigniew Brzezinski: “Sì. Secondo la versione ufficiale della storia, l’aiuto della CIA ai mujaheddin è iniziato nel 1980, dopo l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’esercito sovietico il 24 dicembre 1979. Ma la realtà segreta è ben diversa: fu il 3 luglio 1979 che il presidente Carter firmò la prima direttiva sull’assistenza clandestina agli oppositori del regime filosovietico di Kabul. Quel giorno scrissi una nota al presidente in cui spiegavo che, a mio avviso, questa assistenza avrebbe portato all’intervento militare sovietico”.
– Le Nouvel Observateur: Nonostante questo rischio, lei era favorevole a questa azione segreta (operazione clandestina). Ma forse volevate addirittura che i sovietici entrassero in guerra e cercavate di provocarla?
Zbigniew Brzezinski: “Non è del tutto vero. Non abbiamo spinto i russi a intervenire, ma abbiamo deliberatamente aumentato la probabilità che lo facessero”.
– Le Nouvel Observateur: Quando i sovietici hanno giustificato il loro intervento affermando che intendevano combattere contro un’interferenza segreta degli Stati Uniti in Afghanistan, nessuno gli ha creduto. Ma in questo c’era un fondo di verità. Oggi non ha nulla di cui pentirsi?
Zbigniew Brzezinski: “Pentirsi di cosa? Questa operazione segreta è stata un’idea eccellente. Ha avuto l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e lei vuole che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici hanno ufficialmente attraversato il confine, scrissi al presidente Carter, in sostanza: “Ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS la sua guerra del Vietnam”. In effetti, per quasi dieci anni Mosca ha dovuto combattere una guerra insopportabile per il regime, un conflitto che ha portato alla demoralizzazione e alla definitiva disgregazione dell’impero sovietico”.
– Le Nouvel Observateur: Non si pente nemmeno lei di aver incoraggiato il fondamentalismo islamico, dando armi e consigli ai futuri terroristi?
Zbigniew Brzezinski: “Qual è la cosa più importante in termini di storia mondiale? I talebani o la caduta dell’impero sovietico? Qualche islamico scalmanato o la liberazione dell’Europa centrale e la fine della guerra fredda?”.
– Le Nouvel Observateur: Qualche scalmanato? Ma è stato detto più e più volte: il fondamentalismo islamico rappresenta oggi una minaccia globale.
Zbigniew Brzezinski: “Sciocchezze. Si dice che l’Occidente avrebbe bisogno di una politica globale verso l’islamismo. È una stupidaggine: non esiste un islamismo globale. Guardiamo all’Islam in modo razionale, non demagogico o emotivo. È la prima religione al mondo, con 1,5 miliardi di seguaci. Ma cosa hanno in comune l’Arabia Saudita fondamentalista, il Marocco moderato, il Pakistan militarista, l’Egitto filo-occidentale o Asia centrale secolarizzata? Nulla di più di quanto accomuna i Paesi della cristianità”.
Temo a molti sia sfuggita la sostanziale affinità tra l’intervista di Brzezinski e quella concessa il 4 gennaio scorso dal segretario di Stato Antony Blinken al “New York Times”, anche di questa riporto alcuni stralci che in questo caso concernono le origini del conflitto russo-ucraino, a noi più vicino nel tempo e nello spazio.
– NYT: Sei mesi dopo l’Afghanistan (ritiro delle forze USA/Nato nel 2021 nota AD), la Russia invade l’Ucraina. Era il febbraio 2022. Ricordo quel momento come terrificante. Quanto eravamo vicini a un conflitto diretto?
Antony Blinken: “Ci sono stati diversi momenti in cui ci siamo preoccupati davvero delle azioni che la Russia avrebbe potuto intraprendere, compreso l’uso potenziale di armi nucleari. (…) Ma credo che nel complesso siamo stati in grado di gestire la situazione in modo da tenerci lontani da un conflitto diretto con la Russia. Ora la Russia è impegnata in ogni sorta di attività nefaste, nei cosiddetti attacchi ibridi di un tipo o dell’altro, che si tratti di cyberspazio, di atti di sabotaggio, di assassinii. Queste cose stanno accadendo. Stanno accadendo in Europa. E questo è un aspetto su cui stiamo lavorando a stretto contatto con molti dei nostri partner. Ma in termini di conflitto diretto, non credo che ci siamo andati vicini, ma è qualcosa a cui abbiamo dovuto essere molto, molto attenti”.
– NYT: Lei ha preso due prime decisioni strategiche sull’Ucraina. La prima, a causa del timore di un conflitto diretto, è stata quella di limitare l’uso delle armi americane da parte dell’Ucraina all’interno della Russia. La seconda è stata quella di sostenere l’offensiva militare dell’Ucraina senza una traccia diplomatica parallela per cercare di porre fine al conflitto. Come valuta oggi quelle decisioni?
Antony Blinken: “Innanzitutto, se si guarda alla traiettoria del conflitto, poiché l’avevamo previsto, siamo stati in grado di assicurarci non solo di essere preparati e di preparare gli alleati e i partner, ma anche di preparare l’Ucraina. Ci siamo premurati che ben prima dell’aggressione russa, a partire da settembre e poi di nuovo a dicembre, fornissimo silenziosamente molte armi all’Ucraina per assicurarci che avesse in mano ciò di cui aveva bisogno per difendersi, cose come gli Stingers, i Javelin che sono stati fondamentali per impedire alla Russia di prendere Kiev, di conquistare il Paese, di cancellarlo dalla mappa e di respingere i russi. (…) In termini di diplomazia: Abbiamo esercitato una straordinaria diplomazia nel riunire e tenere insieme più di 50 Paesi, non solo in Europa, ma ben oltre, a sostegno dell’Ucraina e in difesa di questi principi che la Russia ha attaccato nel febbraio di quell’anno”.
– NYT: L’Ucraina è stata lasciata nella situazione in cui sta per arrivare una nuova amministrazione, che ha una visione molto diversa del conflitto. E si potrebbe sostenere che l’Ucraina non è in una posizione particolarmente forte per essere in grado di gestire ciò che verrà. (…) Ritiene di aver lasciato l’Ucraina nella posizione più forte possibile? O ci sono cose che avreste potuto fare diversamente?
Antony Blinken: “Beh, innanzitutto abbiamo consentito che l’Ucraina esista, il che non era scontato perché l’ambizione di Putin era quella di cancellarla dalla carta geografica. L’abbiamo fermato. Putin ha fallito. L’Ucraina è in piedi. E credo che abbia anche uno straordinario potenziale non solo per sopravvivere, ma anche per prosperare in futuro. E questo dipende dalle decisioni che la futura amministrazione e molti altri Paesi prenderanno”.
Se si prescinde dai “buoni propositi” dichiarati dai due politici americani occorre ammettere che formalmente l’operazione afghana e quella ucraina hanno tutti i connotati di vere e proprie provocazioni. Per quanto concerne i danni collaterali dell’operazione di Brzezinski si potrebbe obiettare che si tratta di una constatazione “con il senno di poi”, anche se personalmente penso che fossero ampiamente previsti, perché da una parte le dichiarazioni sono anteriori a molti altri avvenimenti in cui USA e Nato sono stati protagonisti: Serbia, Iraq, Libia, Siria e dall’altra tutte queste operazioni si inseriscono armonicamente nella strategia americana del “caos controllato”.
Diversamente va considerata l’operazione “Ucraina”. In primo luogo perché l’area interessata dal conflitto è l’Europa. In secondo luogo perché prima di intervenire la Russia aveva più volte dichiarato ufficialmente che considerava essenziale per la propria sicurezza nazionale la neutralità dell’Ucraina. In terzo luogo perché i rischi connessi a questo conflitto erano e restano incontrollabili.
Ovviamente l’ammissione di Blinken è parziale, secondo i Russi pesanti ingerenze EU/USA nella politica ucraina sarebbero iniziate già durante le elezioni presidenziali del 2004, mentre le forniture di armi e il supporto militare USA/Nato all’Ucraina sarebbero iniziate già nel 2014.
E’ sconcertante constatare che in questi anni sia i politici che le élite e i mass-media europei non abbiano minimamente reagito ne’ davanti ai chiari segnali di pericolo che si manifestavano, ne’ di fronte alle evidenze delle crisi economica, politica e sociale. Anzi è da tempo in atto una intensa quanto demenziale collaborazione con organizzazioni e istituti che perseguono l’annichilimento della sovranità dei singoli Paesi europei e dell’economia europea nel suo insieme.
Di questo comportamento irresponsabile è sintomatica l’assenza di reazioni di fronte all’atto terroristico che ha distrutto il i gasdotti Nord Stream e messo in ginocchio l’industria tedesca. Qualcuno oggi è allarmato da un possibile disimpegno USA dalla Nato, ma non si ricordano l’abbandono dell’Iraq e dell’Afghanistan? O forse credono ancora alla favola del giardino e della giungla di Borrell? (Nell’ottobre del 2022 nel discorso inaugurale alla European Diplomatic Academy il capo della diplomazia europea aveva paragonato l’Europa a un giardino e il resto del mondo a una giungla, suscitando risentite reazioni in tutto il mondo).
Di opportunità per capire la situazione ce ne sono state, basti ricordare la frase spontanea del vicesegretario di Stato (responsabile per i rapporti con l’Europa) Victoria Nuland del 6 febbraio 2014 “Fuck The EU” che i mass-media wuropei si sono affrettati a sdoganare come “gaffe”.
Staremo a vedere se era una gaffe.
Purtroppo per quanto concerne le conseguenze del conflitto ucraino mancherà possibilità di discuterle “con il senno di poi” perché ai politici europei fa difetto sia il fattore tempo che la materia grigia.