2024, l’anno delle armi: fin che c’è guerra c’è speranza

di Giuseppe Gagliano

Il 2024 sarà ricordato come l’anno in cui le armi hanno dominato l’economia globale. Le fabbriche di armamenti, dai missili ai veicoli blindati, hanno lavorato a pieno regime, alimentate da una domanda inarrestabile. Per il terzo anno consecutivo il settore ha registrato record storici sia nella produzione di sistemi letali sia nei fatturati e nei profitti. Le principali aziende del settore hanno raggiunto picchi in borsa che riflettono un’industria in espansione, con la guerra in Ucraina e le crescenti tensioni geopolitiche come sfondo costante.
Le cinque maggiori aziende statunitensi, ovvero Lockheed Martin, RTX-Raytheon, Northrop Grumman, General Dynamics e Boeing, hanno consolidato il loro primato. Nei primi nove mesi del 2024 i loro ricavi complessivi sono aumentati dell’11,2%, passando da 175,1 a 194,8 miliardi di dollari. Il portafoglio ordini, garanzia di ricavi futuri, è cresciuto di 32,3 miliardi, raggiungendo i 625,7 miliardi (+5,4%).
Lockheed Martin, leader mondiale, ha guidato la corsa con ricavi di 52,42 miliardi (+7,6%) e utili netti di 5,05 miliardi (+5%). La produzione dei missili Javelin, in collaborazione con Raytheon, e degli ATACMS, inviati in Ucraina, ha rappresentato il fulcro della sua crescita. RTX-Raytheon dal canto suo ha visto un balzo del 20,6% nei ricavi, trainati dalla produzione di Stinger e Patriot.
Le principali aziende europee, cioè BAE Systems, Thales, Leonardo, Rheinmetall e Airbus Defence, hanno registrato numeri inferiori a quelli americani, ma comunque impressionanti. Nei primi nove mesi del 2024 i loro ricavi sono aumentati del 12,7%, raggiungendo i 55,82 miliardi di euro. Gli utili netti aggregati hanno toccato i 2,65 miliardi (+10%), con un portafoglio ordini cresciuto di 11,2%.
BAE Systems si è confermata leader in Europa con ricavi di 14,06 miliardi (+11,4%) nei primi sei mesi dell’anno e un portafoglio ordini di 89 miliardi. Leonardo ha registrato una crescita del 12,4% nei ricavi, mentre Rheinmetall ha messo a segno la performance più significativa, con un aumento del 36% nei ricavi e del 27% negli utili netti, trainata dalla produzione di blindati e nuove fabbriche in Ucraina.
Anche le aziende asiatiche hanno mostrato una crescita impressionante. La cinese Kuang-Chi Technologies ha registrato un incremento in borsa del 198,5%, mentre la norvegese Kongsberg e la giapponese Mitsubishi Heavy Industries hanno visto aumenti rispettivamente del 177% e 169%.
In Turchia Aselsan ha beneficiato di una domanda interna crescente, con un rialzo del 60%. In India, Bharat Tech e Hindustan Aeronautics hanno tratto vantaggio dall’espansione della spesa militare, riflettendo una tendenza globale verso il riarmo.
La pressione geopolitica spinge l’Europa verso un massiccio aumento della spesa militare. La proposta di Donald Trump di portare la spesa della NATO al 5% del PIL potrebbe trasformare completamente il panorama europeo. Per l’Italia, ad esempio, ciò significherebbe passare dagli attuali 32,2 miliardi a oltre 80 miliardi l’anno, una cifra senza precedenti che verrebbe tolta ad altre voci, tra cui la spesa sociale.
Il 2024 ha mostrato come la guerra sia diventata non solo un business, ma una componente strutturale dell’economia globale. Se da un lato gli utili record delle aziende evidenziano la robustezza del settore, dall’altro mettono in luce una spirale pericolosa: l’aumento della spesa militare rischia di alimentare conflitti, anziché prevenirli.
L’industria delle armi prospera su un terreno di tensioni geopolitiche e conflitti latenti. Il futuro dipenderà dalla capacità dei governi di trovare un equilibrio tra sicurezza e diplomazia, evitando che l’economia della guerra diventi l’unico motore di sviluppo globale.