53 anni fa la Crisi dei missili di Cuba

di Giovanni Ciprotti –

cuba crisi missiliIl 22 ottobre 1962, alle ore 19 della costa orientale Usa, il presidente John Fitzgerald Kennedy apparve sugli schermi televisivi ed annunciò agli americani che l’Unione Sovietica stava costruendo rampe di lancio sul territorio cubano, dal quale sarebbe stato possibile far partire missili nucleari in grado di colpire gli Stati Uniti.
Fu l’inizio della fase pubblica della crisi dei missili di Cuba, che per sei giorni spaventò il mondo intero per l’enorme rischio di conflitto nucleare tra Usa e Urss.
Nei giorni precedenti l’annuncio televisivo (le foto erano state scattate il 14 ottobre da un aereo U-2) alla Casa Bianca si tennero diverse riunioni segrete per discutere la linea d’azione. Gli Stati Uniti decisero infine di applicare un blocco navale intorno a Cuba, messo in atto da navi militari che avevano l’ordine di fermare e perquisire qualsiasi battello diretto verso l’isola caraibica.
Il 28 ottobre, dopo un braccio di ferro tra Kruscev e Kennedy, l’Urss cedette: le navi sovietiche già in viaggio furono richiamate e le installazioni installate a Cuba vennero successivamente smantellate.
Una storia di 50 anni fa che non è stata quasi mai studiata nelle nostre scuole. All’epoca dei fatti se ne discusse in pubblico nell’ambito della polemica politica che contrapponeva i partiti di governo, guidati dai democristiani, e l’opposizione, egemonizzata dal Pci. Poi la vicenda cadde nel dimenticatoio e divenne oggetto di discussione e di studio soltanto per gli storici e i politologi. Oggi nessuno ne parla più. La Guerra fredda è finita da venticinque anni, l’Unione Sovietica non esiste più dal 1991 e gli Stati Uniti pochi mesi fa hanno riaperto la loro ambasciata a Cuba, chiusa nel 1961.
A che servirebbe ricordare quei fatti? Beh, forse qualche insegnamento potremmo cercare di trarlo.
I principali attori della vicenda furono tre: l’Urss, che sperava di aumentare il proprio potere deterrente minacciando da vicino il nemico americano; gli Stati Uniti, che non potevano tollerare una minaccia del genere nel proprio “giardino di casa”, sebbene la mossa sovietica avesse un precedente internazionale nella installazione dei missili americani Jupiter in Turchia dell’anno precedente (che infatti divennero merce di scambio nel compromesso raggiunto per risolvere la crisi); Cuba, che vedeva nella operazione Anadyr (il nome in codice scelto dai sovietici) un modo per allentare la pressione americana sull’isola.
Le più recenti ricostruzioni dei fatti hanno consentito di stabilire che sia Kennedy sia Kruscev cercarono in tutti i modi di evitare che la diatriba degenerasse in un conflitto armato, resistendo alle sollecitazioni dei rispettivi ambienti militari, più propensi a “menare le mani”.
In seno alla speciale unità di crisi costituita da Kennedy – passata poi alla storia come ExComm – l’orientamento iniziale sulla risposta americana da dare alla iniziativa sovietica era il bombardamento delle postazioni di lancio, eventualmente seguito da una invasione di Cuba. Il presidente Kennedy decise invece per il blocco navale dell’isola, tecnicamente definito “quarantena”, e contemporaneamente attivò diversi canali segreti di comunicazione con i sovietici, tra i quali suo fratello Robert, ministro della giustizia, il quale ebbe diversi colloqui con l’ambasciatore sovietico a Washington, Dobrynin.
Fallito il tentativo di installare in segreto le rampe e i missili, Kruscev, dal canto suo, si rese conto che avrebbe dovuto annullare l’intero progetto e si mosse da subito per individuare una dignitosa via d’uscita.
L’accordo raggiunto il 28 ottobre dalle due superpotenze non piacque a Castro, che si sentì in qualche misura sacrificato dal suo potente alleato sovietico, anche se gli Stati Uniti come contropartita dovettero dichiarare pubblicamente di rinunciare alla invasione di Cuba per spodestare Fidel Castro.
Il risultato finale, al netto dei vantaggi e degli svantaggi attribuibili ai singoli attori, fu il pieno superamento della crisi più pericolosa che il mondo avesse mai vissuto dopo la fine della seconda guerra mondiale e il primo serio rischio di conflitto nucleare.
Quella esperienza dimostrò che la possibilità di gestire crisi anche molto difficili dipendeva dal grado di cooperazione e dalla capacità di ascolto delle due grandi potenze e spinse Usa e Urss ad installare una linea di comunicazione diretta tra Mosca e Washington.
Chissà che non si riesca a ripetere lo stesso miracolo in Siria: Obama potrebbe rinunciare a detronizzare Assad e Putin potrebbe accettare l’idea che il presidente siriano esca ridimensionato dalla crisi. Forse sarebbe un punto di partenza per cercare insieme un compromesso accettabile per la fine della guerra civile siriana.