Lorenzo Pallavicini –
L’inaugurazione a Tirana della moschea più grande di Albania, alla presenza del presidente turco Recep Tap Erdogan e finanziata con circa 30 milioni di euro dal Direttorio degli affari religiosi, ente statale alle dipendenze del governo, è testimonianza dell’impegno nel potenziare i legami storici delle comunità islamiche locali con Ankara, nel solco della politica neo ottomana dell’amministrazione Erdogan che comprende nei Balcani non solo finanziamenti di moschee ma anche interessi commerciali, strategici e militari.
Ankara compete nell’area con altri paesi del Golfo Persico interessati a influenzare le comunità islamiche balcaniche, ad esempio l’Arabia Saudita che già negli anni Novanta finanziò e sostenne i bosgnacchi musulmani nella guerra di Bosnia, con la controversa presenza di centinaia di combattenti radicali salafiti che avrebbero costituito negli anni seguenti le basi della organizzazione terroristica Al Qaeda, responsabile dell’11 settembre.
Nell’ambito dell’Islam sunnita la Turchia, da anni, ha recuperato posizioni rispetto alle monarchie del Golfo, forte del suo ruolo di potenza militare della alleanza NATO che le permette di inserirsi nei Balcani pur mantenendo autonomia rispetto alle direttive impartite da Washington ed in cui la cerniera militare Albania -Turchia è funzionale ad entrambi i paesi con Erdogan che si pone in una posizione di mediatore nei conflitti, a partire da quello russo-ucraino per passare alla questione kosovara.
Il sostegno all’Islam nei Balcani è elemento di preoccupazione, invece, per le autorità serbe, che temono il propagarsi della religione islamica e, in particolare, l’idea di una parte delle comunità kosovare di costituire un forte stato albanese che comprenderebbe parti dell’attuale Montenegro settentrionale e del Sangiaccato, ad oggi parte dello stato serbo, motivo di scontro tra Belgrado e Tirana.
In secondo luogo, un incremento della islamizzazione dei Balcani è fonte di allarme per alcuni paesi vicini come l’Ungheria di Orban, da anni tra i più attivi nel denunciare i problemi della immigrazione proveniente dai paesi islamici e tra i più coinvolti nella rotta balcanica dei migranti, un problema su cui la UE non ha ancora risolto la sicurezza e i nodi dei confini tra i paesi balcanici già membri UE e parte dell’area Schengen come Slovenia e Croazia, e quelli non UE, come la Bosnia.
La Turchia detiene ancora un ruolo cruciale nell’ambito delle migrazioni in Europa dai paesi asiatici e islamici e tale aspetto conferisce al paese un forte potere contrattuale nei confronti di Bruxelles. Se appare tramontata l’idea, in auge nei primi anni Novanta e Duemila, di un futuro ingresso di Ankara nella UE, il Governo turco si inserisce nel gioco europeo grazie ai Balcani in cui i suoi interessi economici e geostrategici sono assai elevati con gli Stati Uniti rimangono sullo sfondo in modo defilato a causa della predominanza attuale del tema mediorientale e russo nell’agenda di Washington.