Algeria. Condannati i tre candidati presidenziali per corruzione

Ma c'è il sospetto di un'epurazione politica.

di Giuseppe Gagliano

Nel labirinto della politica algerina, dove il potere è al tempo stesso un premio e un’arma, la recente condanna a 10 anni di carcere per corruzione di tre ex candidati presidenziali, ovvero Saïda Neghza, Belkacem Sahli e Abdelhakim Hamadi, è più di un semplice verdetto giudiziario. È un monito severo, un segnale inequivocabile delle poste in gioco e delle acque torbide di una nazione in cui l’ambizione si scontra spesso con la macchina del controllo. I tre, multati ciascuno di 1 milione di dinari (circa 6.700 euro), sono stati accusati di aver acquistato sponsorizzazioni da funzionari eletti per assicurarsi un posto nella corsa presidenziale del settembre 2024, una gara che non hanno mai avuto la possibilità di correre.
La Corte costituzionale algerina, con una mossa che molti vedono come un’operazione di epurazione politica, aveva già respinto le loro candidature prima delle elezioni, bollandole come macchiate da pratiche illecite. Nell’agosto 2024 l’accusa aveva rivelato che 50 rappresentanti eletti avrebbero confessato di aver ricevuto denaro per sostenere le candidature dei tre. Un totale di circa 70 imputati è stato condannato in quello che si è rivelato uno schema di corruzione ben più ampio, un intreccio che ha travolto non solo i candidati, ma anche i loro collaboratori più stretti. Tra le vittime collaterali, i tre figli di Saïda Neghza, colpiti da pene detentive tra i 5 e gli 8 anni per favoreggiamento e riciclaggio di denaro.
La vittoria, come ampiamente previsto, è andata al presidente in carica Abdelmadjid Tebboune, il cui cammino verso la riconferma sembra essere stato spianato non solo dal consenso popolare, ma anche da un sistema che non lascia spazio a sorprese. I tre ex candidati, lasciati liberi in attesa di un possibile ricorso entro 10 giorni, sono ora simboli di una lotta politica in cui il confine tra giustizia e repressione è sempre più sfumato.
Ma cosa racconta davvero questa vicenda? Non è solo una storia di corruzione. È il riflesso di un’Algeria che, nonostante le promesse di rinnovamento seguite alle proteste di massa dell’Hirak del 2019, rimane intrappolata in un sistema di potere opaco. Tebboune, eletto per la prima volta nel 2019 in un’elezione boicottata da molti per la sua scarsa trasparenza, si è consolidato come figura centrale, ma il suo regime non è immune alle critiche. La repressione delle opposizioni, le espulsioni di diplomatici stranieri – come nel caso della recente tensione con la Francia, culminata il 14 maggio 2025 con l’espulsione di diplomatici algerini da Parigi – e le deportazioni di massa di migranti verso il Niger (oltre 1.800 solo ad aprile 2025) dipingono un paese in cui il controllo è esercitato con pugno di ferro.
Saïda Neghza, imprenditrice di spicco, Belkacem Sahli, ex ministro, e Abdelhakim Hamadi, direttore di un laboratorio di prodotti veterinari, rappresentavano una sfida, per quanto fragile, al sistema. La loro caduta non è solo una punizione per presunte irregolarità, ma un messaggio: in Algeria, chi osa sfidare l’ordine stabilito deve essere pronto a pagarne il prezzo. E mentre il paese commemora le vittime dei massacri del 1945 a opera delle truppe francesi – un anniversario celebrato l’8 maggio 2025 con toni nazionalisti – la retorica del passato serve a mascherare le tensioni del presente.
In questo contesto, il caso dei tre candidati si inserisce in un mosaico più ampio di instabilità regionale. Proprio mentre l’Algeria condanna i suoi aspiranti presidenti, il Senegal, a migliaia di chilometri di distanza, intensifica la sua campagna anticorruzione, incriminando un quinto ex ministro. In Somalia, la fame infantile peggiora, aggravata dai tagli agli aiuti internazionali. L’Africa, ancora una volta, si trova al crocevia di crisi interne e interessi globali, con potenze straniere – dalla Cina agli Stati Uniti – che osservano attentamente, pronte a sfruttare ogni opportunità.
Cosa riserva il futuro per l’Algeria? Il verdetto contro Neghza, Sahli e Hamadi potrebbe essere solo l’inizio di una nuova ondata di regolamenti di conti. Mentre Tebboune si prepara a governare un paese sempre più polarizzato, il ricorso dei tre condannati sarà un banco di prova per la giustizia algerina. Ma in un sistema dove i manifesti elettorali sventolano come bandiere di una vittoria annunciata, la vera domanda è: c’è spazio per un’Algeria diversa, o il potere continuerà a scrivere la sua storia con inchiostro indelebile?