Algeria. La fuga del generale Haddad scuote il potere

di Giuseppe Gagliano

La rocambolesca fuga del generale Abdelkader Haddad, ex capo della Direzione generale della sicurezza interna (DGSI) algerina, rappresenta molto più di un semplice colpo di scena giudiziario. È lo specchio di una frattura profonda tra potere politico, apparati di sicurezza e forze armate, un’incrinatura che mina l’equilibrio di un sistema autoritario fondato su un delicato patto tra presidente, esercito e servizi.
Secondo le ricostruzioni del quotidiano spagnolo El Confidencial Haddad, soprannominato “Nadder El Djinn”, il Diavolo, avrebbe lasciato l’Algeria nella notte tra il 18 e il 19 settembre a bordo di un motoscafo, aggirando senza difficoltà gli arresti domiciliari. Sarebbe sbarcato nella regione spagnola di Alicante, dichiarando di temere un assassinio mascherato da suicidio. Mentre le autorità iberiche confermano i fatti, i media algerini negano con ostinazione.
La vicenda è esplosa nel cuore di una crisi politica latente. Da mesi, l’apparato di potere costruito attorno al presidente Abdelmadjid Tebboune mostra segni di logoramento. La fuga di Haddad ha trasformato questa tensione in uno scontro visibile.
Dietro il silenzio ufficiale, il terremoto politico è reale. Il generale Said Chengriha, capo di stato maggiore, ha tentato di distogliere l’attenzione con un’operazione militare a Tébessa, al confine con la Tunisia, ma la manovra non ha funzionato. La defezione di Haddad mette in discussione il controllo del presidente su apparati fondamentali per la stabilità del regime.
La risposta è stata immediata: posti di blocco ad Algeri, valichi chiusi, arresti tra ufficiali dell’intelligence sospettati di averlo aiutato. Tra i nomi più pesanti figura quello del generale Mahrez Djeribi, capo del DCSA, rimosso e poi ricomparso accanto a Chengriha. Un segnale evidente di guerre interne tra fazioni militari e di sicurezza.
Haddad non è un fuggitivo qualsiasi. Formatosi durante la guerra civile algerina (1992-2002), ha costruito la propria carriera nel cuore dell’apparato repressivo. Da capo operativo del famigerato Centro Antar, fino a diventare nel 2024 direttore del DGSI, ha accumulato potere e informazioni sensibili. È considerato la “scatola nera” del regime: conosce segreti su repressione, corruzione, operazioni clandestine e rapporti con gruppi regionali come il Fronte Polisario.
Il suo allontanamento nel maggio 2025, dopo aver toccato interessi troppo vicini al presidente, è stato l’inizio della fine. Prima carcere, poi arresti domiciliari. Infine, la fuga. E con lui, potenzialmente, informazioni capaci di destabilizzare il governo.
Dal 2019, con Tebboune alla presidenza, si sono alternati cinque direttori del DGSI e sette dell’intelligence estera. Oggi circa 200 alti ufficiali sono in carcere, tra cui 30 generali. Numeri che raccontano una instabilità endemica dell’apparato di sicurezza, segnata da purghe, sospetti e vendette incrociate.
La fuga di Haddad non è un incidente: è il sintomo di un sistema che si frattura al suo interno. Le reti di potere costruite nei decenni si scontrano, mentre la legittimità del presidente si indebolisce. La crescente militarizzazione della politica non basta più a garantire coesione.
L’Algeria è uno snodo strategico per il Nord Africa e il Mediterraneo: fornitore di gas per l’Europa, attore chiave nella crisi del Sahara Occidentale, hub di sicurezza regionale. La fuga di una figura centrale dell’intelligence rischia di esporre i fragili equilibri interni e internazionali del paese.
In un momento in cui il governo cerca di proiettare stabilità, la defezione di un generale con un simile patrimonio di informazioni è un boomerang politico e diplomatico. Madrid e Algeri si ritrovano ora su un terreno scivoloso, mentre potenze regionali e occidentali osservano con attenzione.
La fuga di Haddad non è solo una vicenda personale: è un messaggio a chi, nel sistema, si sente minacciato. Le purghe interne, la crisi di legittimità del potere presidenziale e la frammentazione dei servizi segreti aprono scenari di instabilità potenzialmente esplosivi.
Per Algeri, la sfida non è solo politica ma sistemica: ricostruire un equilibrio tra potere civile e militare senza scatenare una lotta intestina. Un equilibrio che, a oggi, appare sempre più fragile.