Allarme Nato: Isis e Israele studiano “bombe sporche”

di C. Alessandro Mauceri

Bombe sporcheNei giorni scorsi sono state diffuse due notizie, tra loro strettamente legate, riguardanti il ritorno ad armi nucleari e, in particolare, all’utilizzo delle cosiddette “bombe sporche”. Si tratta di ordigni che, pur non essendo vere e proprie bombe nucleari e non avendo lo stesso potenziale distruttivo, utilizzano esplosivi convenzionali per spargere materiale radioattivo. Spesso si tratta di scorie radioattive provenienti da centrali nucleari o rifiuti radioattivi di origine ospedaliera.
A lanciare l’allarme è stata la Nato, che ha dichiarato l’esistenza di un concreto rischio che l’Isis stia preparando “bombe sporche” utilizzando sostanze chimiche e materiale radioattivo recuperato da centri di ricerca ed ospedali in Siria e in Iraq. A riportate la notizia il Times che ha anche citato il ministro degli Esteri australiano, Julie Bishop.
Ma il timore del ricorso a questo tipo di bombe proviene anche da un altro fronte e da un altro paese: recentemente, nel deserto del Negev, Israele ha effettuato una serie di test utilizzando proprio questo tipo di bombe radioattive. Una notizia confermata da diverse fonti che hanno affermato che negli ultimi anni Israele ha condotto una ventina di esperimenti “di carattere difensivo” volti a verificare gli effetti di esplosioni di “bombe sporche”. Secondo il quotidiano Haaretz, si tratterebbe di bombe di diverse dimensioni (gli ordigni più piccoli erano di 250 grammi e quelli più grandi di 25 kg). Il quotidiano Haaretz ha parlato anche di un altro progetto israeliano, denominato Red House, il cui scopo è valutare gli effetti delle emissioni di sostanze radioattive senza esplosioni: secondo il giornale, il materiale radioattivo verrebbe mescolato con acqua e introdotto nel sistema di ventilazione di una struttura che simulava un grande centro commerciale affollato.
Entrambe le notizie destano gravi preoccupazioni dal momento che le conseguenze dell’uso di queste bombe sono estremamente gravi per l’ambiente per anni se non per decenni. È per questo che la giustificazione addotta da Israele di volerle utilizzare solo per scopo difensivo non è credibile. Non è un caso se, durante i test israeliani (progetto Green Field), i livelli di radiazione prodotti sono stati misurati attraverso mini-droni e i risultati verificati da personale dalla centrale nucleare della città meridionale di Dimona.
Sia le voci riguardanti l’IS che i test condotti da Israele destano grande preoccupazione anche per il fatto che entrambi non hanno mai sottoscritto il Trattato di non proliferazione nucleare (NPT). E gli Israeliani non hanno mai permesso ai funzionari dell’AIEA di ispezionare i propri impianti nucleari (come invece sono stati costretti a fare, quasi con l’uso della forza, altri Paesi mediorientali).