Amnesty International: un mondo con sempre meno diritti umani

di C. Alessandro Mauceri

È appena stato pubblicato il rapporto 2022 di Amnesty International sui diritti umani. Per oltre 10 anni le organizzazioni per i diritti umani hanno rilevato un costante peggioramento del rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto in moltissimi paesi. Per questo c’era grande attesa per il rapporto sull’anno appena trascorso, appena fuori dalla pandemia ma con un grave conflitto in corso, oltre ai tanti già esistenti. Rapporto 2022 – 2023 – Amnesty International Italia
I dati del nuovo rapporto dicono che il 2022 è stato disastroso per i diritti umani. Con un netto peggioramento in quasi tutti i settori analizzati.
A cominciare dalla “fame” e dall’accesso al cibo: la crisi economica globale ha fatto aumentare vertiginosamente i prezzi di cibo e delle fonti energetiche. Queste a loro volta hanno generato problemi di salute e sociali. Le disuguaglianze sono aumentate. I minorenni, le ragazze e le categorie più deboli, come gli LGBTI, hanno subito violenze e discriminazioni di ogni sorta. La violenza sessuale è stata utilizzata come arma in diversi conflitti. Nella Repubblica Centrafricana e in Sud Sudan, decine di donne e ragazze hanno raccontato di essere state stuprate nel contesto degli scontri tra forze governative e gruppi armati o negli attacchi da parte dei gruppi armati. In Etiopia le forze tigrine sono state responsabili di molteplici episodi di stupro e altre violenze sessuali legate al conflitto. E così pure in Ucraina.
A far aumentare povertà, malnutrizione e migrazioni anche i cambiamenti climatici. Innalzamento del livello del mare e alluvioni hanno avuto un grave impatto sulle comunità costiere in molti paesi (Bangladesh, Honduras e Senegal). In India e in Pakistan il caldo da record e l’inquinamento atmosferico hanno causato molti specie tra quanti erano costretti a lavorare all’aperto, come gli agricoltori, i venditori ambulanti e i lavoratori a giornata. Sempre in Pakistan, piogge torrenziali e alluvioni hanno avuto un impatto catastrofico sulla vita e i mezzi di sussistenza della popolazione.
Nel 2022 il mondo è stato colpito da tragedie terribili causate dai conflitti: quelli nuovi, ma anche quelli che si sono riaccesi dopo la pausa forzata durante il Covid. Alcuni hanno prodotto crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Milioni di persone hanno cercato di fuggire, ma a loro è stato riservato un trattamento disumano spesso in violazione degli accordi internazionali. Spesso violati gli accordi internazionali alle frontiere, sia terrestri che marittime: rifugiati e migranti sono stati soggetti a rimpatri forzati, sommari e talvolta violenti. In paesi di transito come la Libia, alcuni hanno subito torture e violazioni. In Medio Oriente e Africa del Nord, i rifugiati continuano ad essere minacciati: le autorità libanesi hanno intensificato i cosiddetti “rimpatri volontari” di siriani. Nelle Americhe, la mancanza di solidi sistemi di protezione internazionale in molti paesi ha continuato a lasciare senza tutele un numero in netto aumento di persone che scappavano da situazioni di violenza armata o altre crisi. Tra settembre 2021 e maggio 2022, gli USA hanno espulso più di 25.000 haitiani.
In almeno 85 stati dove si sono tenute manifestazioni per il rispetto dei diritti civili e umani le forze dell’ordine hanno fatto ricorso alla violenza. In almeno 79 paesi i manifestanti sono stati arrestati arbitrariamente. Sono almeno 47 i paesi dove si sono registrati morti a seguito di torture o maltrattamenti. In Iran, da settembre, le autorità hanno risposto alle rivolte utilizzando proiettili veri, pallini metallici e pestaggi, uccidendo centinaia di persone, comprese decine di minori. In Perù, oltre 20 persone sono state uccise dopo che le forze di sicurezza avevano usato la forza per rispondere alle proteste.
Politiche che hanno leso la libertà di espressione e di associazione. In Russia, una nuova legislazione ha di fatto vietato di menzionare in modo critico la guerra in Ucraina. Sono stati avviati migliaia di procedimenti penali o amministrativi e decine di media indipendenti sono stati rinchiusi: lo scorso anno sono oltre 500 i giornalisti incarcerati o uccisi. In Etiopia, le autorità hanno arrestato arbitrariamente operatori dei media. In Afghanistan, le autorità talebane hanno sottoposto i giornalisti a detenzioni arbitrarie, a forme di tortura e altri maltrattamenti. In Myanmar, le autorità militari al potere dopo il colpo di stato del 2021 hanno arrestato decine di operatori dei media, hanno mantenuto il divieto sui mezzi d’informazione indipendenti e hanno posto restrizioni alle ONG. In Mali, dopo i due recenti colpi di stato (nel 2020 e nel 2021), le autorità hanno sospeso le emittenti nazionali ed estere, arrestato o minacciato giornalisti e altri che criticavano il governo o l’esercito.
In Cina, il governo ha protestato per il rapporto dell’OHCHR che ha documentato i crimini contro gli uiguri e altri gruppi etnici di minoranza nello Xinjiang: si ritiene che migliaia di uomini e donne siano stati detenuti in modo arbitrario e che il governo abbia imposto una censura sempre più pervasiva all’interno del paese. I India, il governo ha cercato di limitare gli spostamenti nel paese ai difensori dei diritti umani. In Turchia, il parlamento ha approvato una nuova legge sulla disinformazione, che aumenta i poteri del governo sui social media. Qui le autorità hanno continuato a incarcerare decine di giornalisti, difensori dei diritti umani e oppositori politici accusandoli di terrorismo. In Egitto, il governo ha cercato di migliorare la propria immagine in vista della COP27 rilasciando centinaia di persone detenute per motivi politici. Contemporaneamente, però, ha trattenuto arbitrariamente circa il triplo delle persone per dissenso reale o percepito, effettuando centinaia di arresti legati alle manifestazioni durante la COP27.
In tutto il mondo, le persone si sono unite nell’affrontare il cambiamento climatico. Ma la repressione più violenta si è verificata in America Latina: nel rapporto relativo 2022, Global Witness ha dichiarato che tre quarti delle uccisioni di attivisti per l’ambiente e la terra avvenute nel 2021 si sono verificati in questa regione.
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, lo stesso che ha istituito un Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani in Russia e che ha introdotto un meccanismo d’indagine per l’Iran, lo scorso anno ha votato per non proseguire le indagini e per non cercare ulteriori prove di possibili crimini contro l’umanità nello Xinjiang, in Cina. Ha anche sospeso una risoluzione sulle Filippine. Allo stesso modo, gli alleati di Israele hanno respinto con fermezza le conclusioni di un coro crescente di organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, secondo cui Israele avrebbe istituito un sistema di apartheid, nonostante questa analisi sia stata avallata dagli esperti delle Nazioni Unite.
L’anno appena trascorso ha visto un peggioramento anche nell’ambito del diritto all’aborto. Negli Usa a giugno, diversi stati americani hanno approvato leggi per vietare o ridurre l’accesso all’aborto, mentre altri hanno votato a larga maggioranza per tutelarlo. In cinque paesi del continente americano l’aborto è un reato (una sentenza della Corte costituzionale in Colombia ha depenalizzato l’aborto fino alla 24ᵃ settimana di gravidanza e una nuova legge in Ecuador ha depenalizzato l’aborto nei casi di stupro). Tendenze simili sono state osservate in Europa. In Polonia, Slovacchia e Ungheria sono state presentate nuove misure per limitare l’accesso all’aborto, mentre diversi altri paesi, come la Germania e i Paesi Bassi, hanno eliminato determinate restrizioni nell’accesso all’aborto. Intanto, le attiviste per i diritti umani affrontavano azioni penali in paesi come Andorra e Polonia, per avere difeso il diritto all’aborto.
In tutto il mondo, il diritto all’alloggio è stato compromesso dagli sgomberi forzati, che hanno spesso colpito coloro che già subivano elevati livelli di discriminazione. In Africa, nelle Americhe e in Asia, i governi hanno dato il via libera a progetti estrattivi, agroindustriali o infrastrutturali senza il consenso libero, anticipato e informato delle popolazioni native interessate. In alcuni casi ricorrendo allo sgombero forzato. In Tanzania, le autorità hanno sgomberato con la forza i membri della comunità nativa Masai dalla loro terra natale per favorire la realizzazione di attrazioni turistiche.
Tra le cause di queste debolezze il fatto che il sistema internazionale dei diritti umani, uno dei tre “pilastri” delle Nazioni Unite, è ormai cronicamente sotto finanziato. Ma non basta: alcuni stati cercano di utilizzare i propri contributi come un’arma per impedire l’operatività di meccanismi necessari.
Nel 2023 si celebrerà il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 30° anniversario della Dichiarazione e del Programma d’azione di Vienna e il 25° anniversario della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani. I numeri del rapporto di Amnesty International hanno confermato una volta di più l’incapacità o l’impossibilità o, in alcuni casi, la mancanza di volontà di far fronte a violazioni sistematiche dei diritti umani.