Araba Saudita. Gli Usa venderanno missili a guida laser

di Giuseppe Gagliano –

Gli Usa hanno approvato la vendita all’Arabia Saudita di sistemi d’arma a guida laser del tipo Advanced Precision Kill Weapon System, azione che mette un ulteriore mattone in una strategia articolata, in cui la sicurezza del Golfo Persico, il contenimento dell’Iran, il rilancio industriale della difesa americana e il nuovo equilibrio globale si incrociano senza soluzione di continuità.
Dal punto di vista operativo, i razzi di precisione sono un’arma perfetta per i teatri attuali. Costano poco (22mila dollari ciascuno), sono versatili e possono colpire droni, mezzi leggeri o milizie in movimento, limitando le perdite civili. In un contesto come quello yemenita, dove gli Houthi impiegano sistemi rudimentali ma efficaci per disturbare il traffico commerciale nel Mar Rosso, questa fornitura risponde a un’esigenza reale: migliorare la capacità di reazione saudita con mezzi compatibili con una guerra “ibrida”, a bassa intensità ma alta visibilità.
Tuttavia la fornitura non serve solo a difendere Riad dai droni. Serve a preparare lo spazio militare a eventuali escalation future. Trump, tornato alla Casa Bianca, ha già mostrato l’intenzione di irrigidire la postura anti-iraniana. E se lo Yemen resta una spina nel fianco, l’Iran resta l’ossessione strategica di Washington.
La scelta di BAE Systems come appaltatore riflette anche l’altra anima dell’operazione: l’industria della difesa americana è oggi un asset strategico, economico e occupazionale. Ogni vendita è una boccata d’ossigeno per i distretti industriali, ogni contratto è un investimento politico in patria. Con la guerra in Ucraina che prosciuga scorte e bilanci, il mercato estero resta fondamentale per sostenere il ritmo produttivo e mantenere la supremazia tecnologica.
Nel frattempo, l’Arabia Saudita, con un budget militare che sfiora i 78 miliardi, resta uno dei pochi attori mondiali con risorse liquide, domanda elevata e margine politico per acquistare a ciclo continuo. Per gli Stati Uniti, è un partner difficile ma redditizio.
A livello geopolitico, l’Arabia Saudita è tornata a essere il perno della proiezione americana nel Golfo. Dopo la parentesi incerta del ritiro dall’Afghanistan e della politica obamiana di distensione con Teheran, Washington riscopre l’utilità del vecchio alleato. E lo fa nel modo che conosce meglio: rafforzandone il potenziale bellico.
Ma il rischio è evidente: ogni aumento di capacità militare da una parte innesca una corsa all’adeguamento dall’altra. L’Iran potrà vedere questa fornitura non come un gesto difensivo, ma come un segnale di ostilità mascherata. E nei teatri instabili come l’Iraq, il Libano o la Siria, l’effetto domino potrebbe presto farsi sentire.
Infine c’è la dimensione politica. Washington manda un messaggio chiaro: chi si allinea contro Teheran, chi garantisce la “stabilità” (termine spesso ambiguo), sarà premiato con la tecnologia, i fondi, le garanzie. Il linguaggio della diplomazia si sovrappone a quello degli arsenali. Anche in vista di futuri assetti post-guerra a Gaza, o di negoziati regionali sul nucleare, la posizione saudita diventa cruciale.
La vendita dei razzi è quindi un tassello di una strategia più ampia, che tiene insieme deterrenza, business, influenza e narrazione. Ma come tutte le mosse di potenza, porta con sé rischi. Perché in Medio Oriente, come la storia insegna, ogni strumento pensato per “limitare i danni” può diventare, se mal gestito, l’innesco di un’escalation più grande