Arabia Saudita. BRICS: un passo indietro che parla di strategia

di Giuseppe Gagliano

L’Arabia Saudita ha sorpreso molti osservatori congelando la sua adesione ai BRICS, il gruppo di economie emergenti formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. L’invito ufficiale, ricevuto nell’ottobre 2023, sembrava essere stato accolto con entusiasmo da Riyadh, che da tempo ambiva a rafforzare il suo ruolo nello scenario multipolare. Ma dietro questa decisione si cela una strategia ben più complessa, dettata dal mutevole contesto geopolitico e da pressioni esterne, in particolare quelle provenienti da Washington.
Per comprendere le ragioni di questo dietrofront è necessario guardare al delicato equilibrio che il Regno sta cercando di mantenere tra la necessità di diversificare le proprie alleanze e il legame storico con gli Stati Uniti. L’adesione ai BRICS era vista come una mossa naturale per un Paese impegnato a ridurre la propria dipendenza dall’Occidente e a costruire relazioni più strette con giganti come Cina e Russia. Tuttavia, questa scelta avrebbe comportato costi non trascurabili, soprattutto in termini di relazioni con gli Stati Uniti, il principale garante della sicurezza saudita nel Medio Oriente.
Washington non è rimasta a guardare. Nel corso dell’ultimo anno, l’amministrazione Biden ha intensificato i contatti con Riyadh, offrendo concessioni strategiche e promesse allettanti. Tra queste spiccano la possibilità di un accordo di difesa reciproca, simile a quello esistente con Giappone e Corea del Sud, e il sostegno per un programma nucleare civile saudita. Queste offerte mirano a rafforzare il rapporto bilaterale e a dissuadere l’Arabia Saudita dal rafforzare eccessivamente i legami con Cina e Russia, che dominano il blocco dei BRICS.
Al centro di questa complessa dinamica vi è la questione iraniana. Nonostante i recenti tentativi di distensione con Teheran, avviati con la mediazione cinese, Riyadh continua a percepire l’Iran come una minaccia strategica, soprattutto per il suo ruolo destabilizzante in Yemen e Iraq. Gli Stati Uniti, in questo contesto, si sono presentati come un partner indispensabile per contrastare le ambizioni iraniane nella regione, offrendo garanzie di sicurezza che il BRICS, essendo un’organizzazione economica priva di una dimensione militare, non può fornire.
Anche la questione economica ha giocato un ruolo cruciale. Sebbene il piano Vision 2030 di Mohammad bin Salman punti a ridurre la dipendenza del Regno dal petrolio e dal dollaro, l’idea di abbandonare troppo rapidamente il sistema del petrodollaro rappresenta un rischio. Il dollaro è stato per decenni la pietra angolare della stabilità economica saudita, e l’adesione ai BRICS, con il loro crescente impegno verso la de-dollarizzazione, avrebbe potuto mettere a repentaglio importanti interessi finanziari del Regno nei mercati globali.
La decisione di congelare l’adesione ai BRICS non deve però essere interpretata come un rifiuto definitivo. Piuttosto, indica la volontà di Riyadh di perseguire un approccio pragmatico e bilanciato. Mohammad bin Salman, con il suo stile spregiudicato e visionario, ha dimostrato di saper giocare su più tavoli, cercando di massimizzare i vantaggi per il Regno senza legarsi in modo esclusivo a una delle grandi potenze. La collaborazione con i BRICS continuerà su fronti specifici, come l’energia e gli investimenti, ma senza un vincolo formale che potrebbe limitare la flessibilità saudita.
In un mondo sempre più multipolare, la strategia dell’Arabia Saudita rappresenta un modello di adattamento alle nuove dinamiche globali. Non è un caso che Riyadh stia emergendo come uno degli attori più abili nel capitalizzare sulle rivalità tra le grandi potenze. Per il Regno, il congelamento dell’adesione ai BRICS non è una rinuncia, ma una scelta tattica per consolidare la propria posizione come protagonista autonomo nello scacchiere internazionale.