di Giuseppe Lai –
L’incontro di alcuni giorni fa tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il principe saudita Mohammed Bin Salman può essere letto, sul piano mediatico, come un elogio della personalizzazione. Tale caratteristica emerge nei due leader assumendo significati differenti in relazione alla comunicazione e va oltre la condivisione di protagonismo e autoreferenzialità, elementi del resto abbastanza comuni nella leadership contemporanea.
Nel caso di Donald Trump il tratto distintivo della personalizzazione si esprime in un mix originale di semplificazione, provocazione e rifiuto del linguaggio istituzionale nella comunicazione politica, elementi propri del modello propagandistico nazionalpopulista di cui il presidente americano appare convinto sostenitore.
Riferita al principe ereditario, la personalizzazione comunica l’identità del nuovo corso saudita e veicola il messaggio di trasformazione economica, sociale e culturale del regno. Un segnale di forte discontinuità rispetto al passato, decifrabile nei dettagli nella “Vision 2030”, il programma ambizioso avviato nel 2016 dall’allora ministro della difesa Bin Salman, destinato a salire al trono nell’anno successivo. Annunciato con l’enfasi di una vera e propria rivoluzione copernicana, il progetto si propone di dare all’Arabia Saudita un volto nuovo sul fronte interno e su quello internazionale, attraverso un piano di riforme esteso a tutti i settori, con priorità all’ambito economico. Proprio in economia il sovrano saudita ha rivelato il suo lato più pragmatico. Il crollo del prezzo del greggio durante la pandemia e proseguito negli anni successivi, ha comportato per la monarchia minori entrate dalla rendita petrolifera, un ostacolo per la realizzazione dei numerosi progetti faraonici previsti dal piano.
La parola d’ordine è diventata transizione post-oil, che significa indipendenza dal petrolio entro il 2030 e diversificazione energetica in settori strategici come energie rinnovabili, turismo, tecnologia, agritech, con l’obbiettivo primario di attrarre capitali internazionali. Una scommessa che punta ad estendere il settore privato in una economia storicamente a trazione pubblica e che fa emergere il volto imprenditoriale di Mohammed Bin Salman. Particolarmente rilevante il progetto sulle fonti rinnovabili, dalle quali il governo si attende il ricavo del 50 % dell’energia totale entro il 2030, aprendo la strada a importanti opportunità di investimento per numerose aziende straniere del settore.
Tra le iniziative futuristiche più ambiziose della Vision 2030 spicca Neom, una smart city incentrata sulla tecnologia e la sostenibilità ambientale, alimentata interamente da energie rinnovabili tra cui solare e idrogeno verde e dotata di infrastrutture avanzate come veicoli autonomi, intelligenza artificiale e robotica. Dunque, una molteplicità di settori interessati da un processo di modernizzazione senza precedenti, che suscita non pochi interrogativi se si considera la storica chiusura alle relazioni esterne dell’Arabia Saudita. Ciò che si osserva è innanzitutto una trasformazione guidata dai vertici del Regno e priva di legittimazione popolare, come accade fisiologicamente nei sistemi non democratici. Lo status giuridico dell’Arabia Saudita è quello di una monarchia assoluta in cui tutto il potere è nelle mani del sovrano, che lo amministra con una cerchia ristretta di familiari e collaboratori.
La religione ufficiale del Regno è il wahhabismo, l’interpretazione più rigida e conservatrice dell’Islam sunnita e il governo del Paese si regge da 250 anni su un patto tra clero wahhabita e dinastia saudita. Bin Salman ha dichiarato di voler riportare Riyad all’Islam moderato pre-1979, anno della svolta verso il radicalismo, promuovendo una nuova identità nazionale che prenda le distanze dalla dimensione religiosa e favorendo la riforma della giurisprudenza islamica e del sistema giudiziario. Al tempo stesso questa annunciata svolta moderata e nazionalista appare in netta controtendenza rispetto alle tante esecuzioni capitali e agli arresti di attivisti, religiosi islamici “liberali” e di alcuni membri di spicco della famiglia reale, accusati ufficialmente di “indisciplina” e, più verosimilmente, di opporsi all’ascesa al trono del sovrano. E’ il volto assolutista e repressivo di Mohammed Bin Salman, che esercita il controllo sociale e quello interno alla monarchia attraverso la ferma opposizione al dissenso.
Due aspetti funzionali a una logica accentratrice cui se ne aggiunge un terzo, fondamentale per l’evoluzione del progetto di modernizzazione del Paese: il fattore demografico. In Arabia Saudita il 72% della popolazione ha meno di 30 anni e rappresenta la generazione dei social, distante anni luce da quella dei genitori che vivevano nelle regole imposte dall’islamismo wahhabita.
Il target di riferimento della rivoluzione identitaria sono proprio i giovani, istruiti, connessi e sempre più impazienti di accedere a opportunità e libertà simili a quelle dei coetanei europei o americani. Ma soprattutto inclini e sensibili ai vari progetti di riforma messi in cantiere dal governo. Una apertura strategica agli strati sociali che vivono nelle città, con il suo limite potenziale in una connotazione elitaria che esclude le fasce più periferiche, rurali, anziane e conservatrici della società saudita, col rischio di accentuare una preesistente polarizzazione sociale che si sommerebbe alle tensioni dentro la monarchia. In definitiva, da una disamina complessiva dei fatti riportati emerge un profilo poliedrico del principe ereditario, caratterizzato da una molteplicità di aspetti, di “volti”, suscettibili di analisi differenti in base alla prospettiva di osservazione.
La cultura occidentale e laica mette in luce le criticità e le contraddizioni di una monarchia monocentrica in cui permane l’intreccio Stato-Islam e il mancato rispetto dei diritti umani fondamentali, evidenziando perplessità sul fatto che una apertura autoritaria alla modernità possa condurre il Paese a una svolta storica autentica. Da una prospettiva diversa, attenta alle specificità e al contesto della realtà saudita, può invece scaturire una visione alternativa, che contempla l’integrazione senza contraddizioni dei vari aspetti che compongono il profilo di Mohammed Bin Salman: un uomo al potere che incarna al tempo stesso autoritarismo, riformismo, fedeltà all’Islam, imprenditorialità, apertura alla modernità. L’espressione multiforme di una identità che affonda le sue radici nella storia.