di Giuseppe Gagliano –
Il gigante petrolifero Saudi Aramco si trova oggi di fronte a una delle sfide più delicate della sua storia recente: garantire la sostenibilità finanziaria della compagnia mentre il prezzo del petrolio oscilla e le entrate calano. La decisione di ridurre i dividendi per il 2025 ha rappresentato un primo campanello d’allarme, segnalando che anche la società più redditizia al mondo deve fare i conti con una realtà economica che cambia rapidamente. Ma dietro questa mossa non c’è solo un’esigenza di bilancio, bensì una strategia più ampia che mira a bilanciare remunerazione degli investitori e investimenti futuri.
Saudi Aramco ha sempre avuto una posizione di forza nei mercati globali, sostenuta dal controllo diretto del governo saudita e da una produzione petrolifera senza eguali. Tuttavia, il calo dei prezzi del greggio, combinato con le politiche di contenimento dell’offerta da parte dell’OPEC+, ha inciso sulle sue entrate. Se a questo si aggiunge il peso di Vision 2030, il piano di trasformazione economica voluto da Mohammed bin Salman, diventa chiaro che la compagnia non può più permettersi di distribuire dividendi a livelli record senza riconsiderare la propria strategia finanziaria. Da qui la necessità di razionalizzare la liquidità, con una serie di misure che vanno ben oltre il semplice taglio dei dividendi.
L’annuncio della riduzione degli importi destinati agli azionisti ha scosso il mercato, ma Saudi Aramco ha subito cercato di compensare questa decisione con strategie alternative per attrarre investitori. Una delle opzioni più concrete riguarda la vendita di quote di asset strategici, in particolare nelle infrastrutture energetiche e nella raffinazione. In questo senso, si inserisce la possibile cessione di partecipazioni in impianti di raffinazione e stoccaggio a investitori internazionali, replicando modelli già adottati in passato con la vendita di quote negli oleodotti.
Parallelamente Saudi Aramco sta valutando nuove IPO per alcune delle sue controllate e asset secondari. L’obiettivo sarebbe quello di monetizzare settori che non rappresentano il core business, come le attività di chimica e raffinazione, attirando capitali esteri e riducendo la dipendenza della compagnia dalle sole entrate petrolifere. Questa mossa si allinea anche con gli sforzi del governo saudita di rafforzare la borsa di Riyadh come hub finanziario regionale, attrarre investimenti diretti e diversificare le fonti di finanziamento del Regno.
Ma non basta vendere asset per risolvere un problema di struttura. Il vero nodo resta il compromesso tra investimenti e dividendi. Saudi Aramco deve garantire ritorni attraenti agli azionisti, soprattutto al governo saudita, che possiede la stragrande maggioranza della compagnia e utilizza quei proventi per finanziare Vision 2030. Tuttavia, gli investimenti nel settore energetico, in particolare nelle nuove tecnologie legate all’idrogeno e alle rinnovabili, sono fondamentali per il futuro della compagnia. Ecco perché una parte delle entrate verrà reindirizzata in joint venture con investitori strategici, in modo da condividere il peso finanziario delle nuove iniziative.
La compagnia punta così su una strategia ibrida: da un lato rassicurare gli investitori con una politica di dividendi più sostenibile, dall’altro continuare a investire nel lungo periodo per mantenere la leadership nel settore energetico. Un equilibrio difficile da trovare, soprattutto in un contesto in cui il mercato petrolifero rimane volatile e gli investimenti richiesti per la transizione energetica sono sempre più ingenti.
L’esito di questa strategia dipenderà molto anche dai futuri sviluppi geopolitici. L’Arabia Saudita ha bisogno che il prezzo del petrolio rimanga sufficientemente alto per finanziare la trasformazione economica del paese, ma al tempo stesso deve evitare tensioni con gli Stati Uniti e altri partner commerciali che stanno spingendo per una transizione energetica accelerata. La posizione di Saudi Aramco è quindi strettamente legata alle decisioni dell’OPEC+, agli equilibri tra le potenze globali e alla capacità del Regno di attrarre investimenti senza compromettere la sua autonomia strategica.
Ciò che appare chiaro è che Aramco non può più affidarsi esclusivamente al petrolio. La compagnia sta ridefinendo il proprio modello di business per adattarsi a un mondo in cui la sicurezza energetica si basa su un mix più variegato di fonti. La riduzione dei dividendi per il 2025 non è un segnale di debolezza, ma piuttosto un passaggio necessario in una più ampia ristrutturazione finanziaria. Una mossa che, se gestita con abilità, potrebbe garantire a Saudi Aramco non solo stabilità nel breve termine, ma anche una posizione dominante nel panorama energetico globale dei prossimi decenni.