Arabia Saudita. Trump tratta con bin Salman: Israele rischia di passare in secondo piano

di Giuseppe Gagliano

Tra il 13 e il 16 maggio Donald Trump sarà nel Golfo per quello che si preannuncia come il momento cruciale della nuova architettura mediorientale. La voce di un funzionario americano che, parlando alle famiglie degli ostaggi israeliani, ha evocato un accordo “storico” con l’Arabia Saudita anche senza Israele, ha già fatto tremare gli equilibri consolidati da decenni di alleanze. Non si tratta solo di diplomazia: è un cambio di paradigma. Israele, da alleato privilegiato, rischia di diventare un ostacolo strategico.
L’intransigenza israeliana nel negoziato con Hamas, aggravata dalla pressione interna delle famiglie degli ostaggi, si scontra con un nuovo pragmatismo americano. Trump, nel suo secondo mandato, sembra disposto a sacrificare l’unilateralismo filo-israeliano in nome di un grande disegno geopolitico: rafforzare il fronte arabo sunnita, contenere Iran, Cina e Russia, e ridisegnare gli assetti regionali. La recente intesa USA-Houthi, mediata da Mascate, è il primo segnale: si negozia con tutti, anche con i nemici di ieri.
Per Riad l’accordo in arrivo è una vetrina geopolitica. Difesa americana, tecnologia nucleare civile, armamenti avanzati. In cambio, solo concessioni simboliche sul dossier palestinese. Un congelamento degli insediamenti, non una soluzione a due Stati. Il tutto con il silenzioso via libera del principe Mohammed bin Salman, che cavalca il doppio gioco: normalizzazione con Israele senza dirlo, consolidamento del potere interno senza rinunciare alla narrativa panaraba.
Israele però, rischia di restare alla finestra. L’amministrazione Trump non vede più Tel Aviv come ago della bilancia, ma come interlocutore rigido e poco utile. L’accordo con l’Arabia Saudita nasce per contenere Pechino e Mosca, non per coccolare Netanyahu. E se Israele non cede sulla Palestina, rischia di restare fuori da una nuova alleanza regionale che parla arabo, ragiona in dollari e pensa in chiave multipolare.
Il Medio Oriente si muove, ma Israele, oggi, appare statico. Il treno storico è partito. La domanda è se Tel Aviv vorrà davvero salirvi, o resterà sola alla stazione.