Argentina. Il 14 novembre elezioni di medio termine

di Alberto Galvi

In Argentina si terranno domani le elezioni legislative in cui verranno eletti 127 deputati su un totale di 257, e 24 senatori su 72; il voto definirà i rapporti di forza al Congresso bicamerale. Esso è composto dal Senato i cui membri sono eletti direttamente su base provinciale con 2 seggi assegnati al partito con il maggior numero di voti e 1 seggio al partito con il secondo maggior numero di voti, e la Camera dei deputati, che è composta da 257 seggi i cui membri stanno in carica per un mandato di 4 anni o con la metà dei membri rinnovati ogni 2 anni
Per il governo di Alberto Fernández questo sarà un test importante, dopo quasi due anni di gestione della crisi pandemica ed economica. I 24 distretti dell’Argentina eleggeranno i deputati nazionali, ma solo otto voteranno per i senatori, i quali rappresentano le province al Congresso, in ragione di tre per ciascuna delle 24.
Il governo ha intanto annunciato una serie di misure legate soprattutto all’economia, come l’aumento del salario minimo, maggiori importi di assistenza sociale e crediti, e una modifica fiscale a beneficio delle persone con reddito medio e medio-alto.
Per cercare di recuperare voti il governo ha imposto il blocco dei prezzi sui prodotti di base e ha negoziato con i laboratori farmaceutici perchè non vi siano aumenti almeno fino al 7 gennaio 2022o.
La grande scommessa del fronte governativo di cui fa parte il FdT (Frente de Todos) del presidente Alberto Fernández, sarà un pareggio con l’opposizione di JxC (Juntos por el Cambio), il partito dell’ex presidente Mauricio Macri, nella provincia di Buenos Aires in cui vive circa un terzo degli abitanti dell’Argentina e tradizionale roccaforte peronista e del kirchnerismo.
Se i risultati elettorali del PASO (Primarias, Abiertas, Simultáneas y Obligatorias) si ripetessero nelle otto province che eleggono i rappresentanti al Senato, il governo perderebbe non solo la maggioranza, ma anche il proprio quorum al Senato presieduto da Cristina Fernández de Kirchner, nella sua qualità di vicepresidente della nazione.
Alla Camera dei deputati invece ci sarebbe un rapporto di forze più equilibrato, perché ora il partito di governo è la prima forza politica di minoranza. Un esecutivo indebolito in entrambe le Camere farebbe più fatica a governare, soprattutto in un contesto post-pandemia e nel portare avanti politiche come la revisione fiscale e la riforma giudiziaria.
Il Congresso dovrebbe anche approvare un eventuale accordo con il FMI (Fondo Monetario Internazionale), la grande sfida finanziaria di Fernández che mira a ristrutturare un prestito di 45mila milioni di dollari, che dovrebbe essere cancellato entro il 2023, quando ci saranno di nuovo le elezioni presidenziali.
Se l’indebolimento del kirchnerismo si materializzasse, il grande vincitore delle elezioni sarebbe il JxC. All’interno della coalizione il voto potrebbe essere un’opportunità per l’UCR (Unión Cívica Radical), uno dei partner di minoranza del JxC, di acquisire forza grazie alla sua capacità di ottenere consensi in alcune province.
Se a destra la fuga di voti è per l’JxC, a sinistra è per il FdT (Frente de Todos); il FIT (Frente de Izquierda y de los Trabajadores) è diventato la terza forza nazionale dopo le votazioni del PASO.
Nonostante i buoni risultati queste formazioni politiche non riusciranno a sostituire le due principali forze politiche in campo, ma potranno segnalare il diffuso malcontento e il logorio della proposta politica che governa l’Argentina dal 2003. Un malcontento che affonda le sue principali radici nella recessione economica in cui l’Argentina continua a stare.