Argentina. Verso le primarie, ma è travolta dall’inflazione

di Francesco Giappichini

Quanto resta del 2023 sarà cruciale non solo per l’Argentina, ma per l’America Latina intera. Le elezioni presidenziali del 22 ottobre, precedute dalle primarie del 13 agosto, mostreranno se in America Latina l’avanzata delle sinistre sta poggiando su basi solide, oppure assistiamo solo al gioco dell’alternanza politica. Si osserverà poi se forze politiche riconducibili all’estrema destra possono avere un futuro anche nel Paese del tango, e se, in nome della lotta all’inflazione, si sceglierà la via della dolarización. Andiamo con ordine, ricordando che il successore del presidente peronista Alberto Fernández, che ha annunciato di non ricandidarsi, s’insedierà il 10 dicembre.
Secondo lo studio del Centro estratégico latinoamericano de geopolítica, il 70% degli argentini vive le vicende dell’attualità con “rabbia, delusione o incertezza”; mentre ben il 77% valuta negativamente il governo sostenuto dall’alleanza Frente de todos, che è guidata dal Partido justicialista d’ideologia peronista. Pur essendo prematuro avanzare pronostici sul nuovo inquilino della Casa Rosada, si può osservare quanto questo scenario cupo si ripercuota sui sondaggi. In base alle ultime inchieste, vediamo in testa il deputato ed economista Javier Milei. Si tratta del fondatore e leader del Partido libertario (Pl), che di là delle tesi libertarie e ultraliberiste, buona parte dei politologi argentini colloca all’estrema destra.
Milei è un personaggio mediatico e sopra le righe, che nei talk show sostiene (gridando) la nota teoria anti-casta, ma soprattutto la proposta della dollarization dell’economia, quale unico antidoto all’inflazione dei record. Altri economisti fanno tuttavia notare che in un’eventuale currency substitution, si dovrebbe partire da una quotazione monstre di 7mila pesos per dollaro. E se la performance di Milei è una sorpresa, colpisce ancor di più che come seconda forza si stia imponendo Juntos por el cambio: i liberali guidati dall’ex presidente Mauricio Macri. E in particolare, si registrerebbe un discreto consenso per Patricia Bullrich, la ministra della Sicurezza durante l’amministrazione Macri (’15-’19).
Tuttavia, come ripetono i cronisti della nazione gaucha, già in vista delle primarie Paso (Primarias, abiertas, simultáneas y obligatorias), i peronisti saranno capaci di mobilitare le truppe cammellate. E si può prevedere che un loro uomo lotterà per la vittoria sino all’ultimo, magari al ballottaggio del 19 novembre. Si tratti del ministro dell’Economia Sergio Massa (sostenuto a sorpresa anche dalla fazione progressista dei kirchneristi), o magari del governatore della provincia de Buenos Aires Axel Kicillof: il brillante economista ed ex ministro, noto come la “cara guapa de la economía argentina”. Nei mesi che restano, gli argentini dovranno dunque affrontare lo shock della mancata ricandidatura di Fernandez, politicamente abbattuto da una crisi economica, che è stata aggravata dalla più grave siccità degli ultimi 60 anni. E faranno i conti con un’inflazione galoppante, causata essenzialmente dall’insostenibilità del debito pubblico; anche se i politici locali preferiscono spiegazioni più naïf, riconducibili ad aspetti psicologici, alla speculazione o all’inerzia dell’inflazione. Il tasso sui 12 mesi ha raggiunto quota 108,8%, ovvero il terzo valore al mondo, dopo Venezuela e Libano. E il locale indice dei prezzi alimentari è il secondo più elevato, per una triste classifica che vede nell’ordine Libano, Argentina, Zimbabwe e Iran.