di Giuseppe Gagliano –
Nel complesso scacchiere del Caucaso meridionale, Mosca si trova nuovamente al centro di una partita delicata tra Azerbaigian e Armenia. La dichiarazione rilasciata il 9 gennaio dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, evidenzia gli sforzi della Russia per preservare la stabilità nella regione, ma le tensioni crescenti tra i due Paesi indicano che la pace rimane una meta lontana.
Il Caucaso è da sempre una priorità strategica per Mosca, non solo per la vicinanza geografica ma anche per le sue implicazioni geopolitiche ed economiche. “Vogliamo che il Caucaso sperimenti pace, stabilità, prevedibilità e un ambiente di reciproca fiducia e sicurezza”, ha affermato Peskov, ribadendo l’impegno russo a mantenere rapporti solidi con entrambe le capitali, Yerevan e Baku. Tuttavia l’assenza di contatti recenti tra Vladimir Putin e i leader dei due Paesi segnala una fase di stallo diplomatico che potrebbe aggravare le tensioni già esistenti.
Le accuse lanciate dal presidente azero Ilham Aliyev contro l’Armenia e indirettamente contro Mosca dimostrano quanto sia fragile la situazione. Aliyev ha criticato aspramente le riforme militari armene e gli accordi di fornitura di armi tra Yerevan e Parigi, definendo l’Armenia uno “Stato fascista”. D’altra parte il governo armeno, guidato da Nikol Pashinyan, ha denunciato la retorica di Baku come un tentativo di giustificare una nuova escalation militare.
Questa dialettica ostile si colloca in un contesto di tensioni irrisolte: la guerra del Nagorno-Karabakh del 2023 ha lasciato profonde ferite, con circa 100mila armeni costretti a lasciare la regione in seguito all’offensiva azera. ONG e osservatori internazionali hanno parlato di una vera e propria “pulizia etnica,” ma l’Azerbaigian continua a respingere tali accuse, rafforzando la sua posizione nella regione.
Nonostante il suo storico legame con l’Armenia, Mosca si trova in una posizione sempre più scomoda. Il deterioramento delle relazioni con Yerevan, accelerato dall’incapacità russa di impedire l’attacco azero del 2023, ha spinto l’Armenia a guardare verso l’Occidente. La proposta di avviare i negoziati per l’adesione all’Unione Europea è l’ultimo segnale di questo cambio di rotta.
Pashinyan ha sottolineato che un eventuale ingresso nell’UE sarà soggetto a referendum popolare, ma il percorso è tutt’altro che semplice. L’Armenia dipende ancora fortemente dalla Russia, sia economicamente sia militarmente. Peskov ha già ricordato che non è possibile essere membri sia dell’Unione Economica Eurasiatica sia dell’UE, facendo riferimento al lungo e infruttuoso cammino della Turchia verso l’adesione all’Unione.
La complessità del Caucaso richiede soluzioni multilaterali, ma i segnali attuali puntano nella direzione opposta. La crescente dipendenza dell’Azerbaigian dalla forza militare, l’avvicinamento dell’Armenia all’Europa e il calo di influenza della Russia nella regione rischiano di creare un vuoto pericoloso.
La Russia, pur mantenendo truppe di pace nel Nagorno-Karabakh, sembra sempre più incapace di svolgere il ruolo di arbitro imparziale. Nel frattempo potenze come la Francia e l’UE cercano di rafforzare i legami con Yerevan, mentre l’Azerbaigian continua a godere del sostegno di Ankara.
In questo contesto una nuova escalation sembra non essere una questione di “se” ma di “quando.” Mosca, pur ribadendo la sua centralità nel processo di pace, deve confrontarsi con una realtà in cui la sua influenza è in declino. L’equilibrio fragile del Caucaso rischia di crollare, e le conseguenze potrebbero estendersi ben oltre i confini della regione.