Bangladesh. Le autorità e l’Unhcr rilasciano ai Rohingya i documenti di identità

di C. Alessandro Mauceri

Si torna a parlare di Rohingya e di Bangladesh. Di certi eventi si parla per qualche settimana, poi tutto viene lasciato cadere in una sorta di limbo mediatico. Come se non fosse successo nulla. E nessuno parla, ad esempio, dell’immenso lavoro che devono svolgere le associazioni e le organizzazioni internazionali per aiutare i rifugiati fuggiti da un paese dove erano perseguitati o dove è in atto una guerra.
Così è stato anche per i Rohingya, cacciati dal Myanmar e “rifugiati” in Bangladesh, uomini e donne di una minoranza etico-religiosa musulmana perseguitata dalla popolazione e persino dai monaci buddisti a suon di persone linciate, famiglie trucidate e villaggi incendiati, e che per evitarne il diritto di voto erano stati ritirati loro i documenti rilasciati nel 2015. Per mesi non è stato chiaro se le autorità del paese ospitante volessero e potessero accoglierli e stabilizzarli. Si tratta di un problema non secondario e comune in questi casi. Ma che può assumere livelli preoccupanti quando i flussi dei rifugiati sono così elevate, e non le poche migliaia di persone che cercano di attraversare il Mar Mediterraneo. Specie se si pensa che molte volte i paesi ospitanti sono “in via di sviluppo” o peggio. In Africa, ad esempio, è l’Uganda ad ospitare milioni e milioni di profughi e rifugiati. Lo stesso, in Medio Oriente dove il Libano e Giordania hanno accolto i siariani cacciati dal proprio paese. Nei paesi ospitanti, fornire i servizi necessari non è facile. Non solo per i costi che comporta ma perchè la cosa rischia di modificare equilibri geopolitici già difficili e a volte comporta crisi ed epidemie.
Non è quello che è appena avvenuto in Bangladesh dove le autorità del paese e l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, hanno comunicato di aver registrato oltre 500mia rifugiati Rohingya in un’operazione congiunta. Un evento doppiamente importante dato che per molte di queste persone si è trattato della prima volta in cui ricevevano una carta d’identità. I documenti biometrici e antifrode sono stati emessi congiuntamente dalle autorità bengalesi e dall’UNHCR per tutti i rifugiati accertati con più di 12 anni. L’operazione di registrazione, iniziata circa un anno fa, dovrebbe concludersi entro il 2019. Innovativo il sistema adoprato, il Biometric Identity Management System (BIMS), che raccoglie dati biometrici, comprese le impronte digitali e la scansione dell’iride, che permette da un lato di non dimenticare nessuno, ma dall’altro di evitare sovrapposizioni e soprattutto di considerare informazioni importanti come i legami familiari.
Si tratta di una notizia importante: spesso nei campi dei profughi e dei rifugiati la popolazione raggiunge numeri difficili da calcolare con precisione e il numero degli apolidi diventa incontrollabile, specie quando la permanenza nei campi di protrae a lungo. In Bangladesh invece disporre di dati precisi permetterà una migliore pianificazione e un’assistenza più mirata specie per le categorie più a rischio come le donne e i bambini oppure le persone con disabilità.
Un successo senza precedenti, ma che ha riportato l’attenzione su un altro aspetto non secondario: le risorse economiche necessarie per portate avanti azioni umanitarie come questa. Alla fine di luglio la somma ricevuta dall’UNHCR ammontava a “soli” 318 milioni di dollari statunitensi. Circa un terzo dei 920 milioni richiesti nel 2019.
E senza fondi è difficile aiutare chi è stato cacciato dal proprio paese e chi queste persone ha ospitato.