Bannon arrestato per frode: un’altra tegola sulla campagna di Trump

di Guido Keller

L’ultima tegola per Donald Trump si chiama Steve Bannon. Ed a pochi mesi dalle elezioni, più che una tegola l’arresto dell’ex capo stratega della sua campagna elettorale appare come un vero e proprio macigno.
Le manette ai polsi del 66enne Bannon, giornalista, politico, produttore cinematografico, politologo nonché ex banchiere d’investimento sono scattate ieri a New York, e le accuse sono pesantissime, vanno dalla cospirazione alla frode al riciclaggio. In particolare Bannon ed altri tre avrebbero messo in piedi la “We Build the Wall”, la raccolta di fondi per la costruzione del muro anti migranti al confine con Messico, uno dei cavalli di battaglia di Trump, trattenendosi però per le proprie spese personali un milione di dollari. La Corte federale di Manhattan ha convalidato l’arresto, ma già oggi Bannon è stato rilasciato su cauzione in attesa del processo per il quale rischia fino a 20 anni di carcere. Come Bannon anche gli altri tre accusati, i faccendieri Brian Kolfage, Andrew Badolato e Timothy Shea, si sono detti innocenti, ma in base ai tabulati e agli incroci dei dati anche loro si sarebbero messi in tasca alcune centinaia di migliaia di euro dalle donazioni per il muro, che in base ai proclami di Trump sarebbe stato pagato dal Messico.
Bannon, il cui nome corretto è Stephen Kevin Bannon, è considerato un sovranista per antonomasia, uno degli esponenti del pensiero populista di destra intriso di perbenismo e di xenofobia, capace di organizzare una rete che attraversa i continenti passando per l’Italia, la Polonia, l’Ungheria e l’Europa per poi finire in Russia, per intenderci una sorta di “internazionale sovranista”.
Un castello, questo è il sospetto, fatto con i fondi russi e che entra in pieno nell’interminabile Russiagate. Ma Bannon è stato anche presidente della società di consulenza politica britannica Cambridge Analityca, che durante le elezioni ebbe accesso a 87 milioni di profili Facebook negli Usa senza il loro consenso, un altro maxi-scandalo che portò Facebook a pagare sanzioni e risarcimenti multimiliardari.
Va detto però che i rapporti tra Bannon e Trump si sono raffreddati da tempo, tant’è che Bannon ha definito in una dichiarazione sul libro di Michael Wolff “sovversivo” e “antipatriottico” l’incontro tra il figlio di Trump, Donald jr., e un gruppo di russi avvenuto durante la campagna elettorale del 2016 alla Trump Tower.
L’arresto di Bannon, che tra l’altro è avvenuto poche ore prima della nomination di Joe Biden alla convention democratica, è una pessima pubblicità per il presidente Donald Trump, che tra Russiagate ed altri scandali che hanno interessato chi gli sta intorno (da Jeff Sessions a Paul Manafort, da Rick Gates a Donald Trump Jr, da Michael Flynn a Stephen Miller, giusto per citare alcuni), si è visto rosicchiare la credibilità.