a cura di Gianluca Vivacqua –
Il prodotto dell’indignazione popolare verso la politica del Palazzo. In Italia si chiama M5S e Giuseppe Conte. A un certo punto il professore venuto dal nulla si trovò a dover gestire uno dei momenti più difficili della storia dell’Italia repubblicana dopo gli Anni di piombo. Il Covid-19, e la messe di morti provocati dall’epidemia, erano stati un banco di prova anche per un altro uomo politico partorito dall’antipolitica, laggiù in Ucraina. Ma Volodymir Zelensky che, storia personale alla mano, si può considerare una specie di versione slavofona di Beppe Grillo, a differenza di Conte dopo la pandemia è rimasto in piedi: per gestire la ricostruzione? Gli sarebbe piaciuto! No, piuttosto per affrontare un esame anche più terribile: la guerra contro Vladimir Putin. Si dice che nella storia i tempi duri richiedano uomini duri, se ce ne sono, oppure uomini da trasformare in duri. Forse di Zelensky si potrà scrivere che è passato alla storia per essere diventato un Rambo suo malgrado. Se proprio, però, non si vuole tener conto del fatto che è stato anche l’unico nella storia a essere presidente in due dimensioni diverse, prima quella della fiction e poi quella della vita reale. Sentiamo cosa ne pensa il professor Simone Attilio Bellezza, docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università del Piemonte Orientale e specialista di Storia ucraina (Identità ucraina: storia del movimento nazionalista dal 1800 a oggi, Laterza; Il destino dell’Ucraina: il futuro dell’Europa, Scholé; Ucraina – Insorgere per la democrazia, La scuola).
– Professore, come passerà alla storia Zelensky?
“Difficile dirlo adesso, essendo egli arrivato al secondo momento più importante della sua storia politica: si gioca tutto in effetti nell’arco dei prossimi mesi, che impiegherà verosimilmente per rielaborare una tregua con la Russia. Di sicuro si può già dire che è il presidente che, contro ogni aspettativa, è riuscito a mettere in piedi, in tempi strettissimi, un’orgogliosa resistenza, e duratura, contro la formidabile armata di Putin. In un certo senso egli si può definire l’uomo simbolo di una nuova generazione di ucraini: quelli della classe media che, dopo l’uscita della loro patria dalla sfera d’influenza sovietica, sono riusciti a raccogliersi intorno a un’idea di nazione e ad opporsi al tentativo da parte di Mosca di riassoggettare tutto il Paese”.
– Come pensa che gli ucraini lo giudichino, e lo giudicheranno poi, alla fine del suo mandato?
“A dir la verità, in questo preciso momento, nonostante sia l’artefice della resistenza, Zelensky non è molto popolare. Questo perché, ora che il conflitto si sta cronicizzando, sta mostrando di non saperlo gestire proprio benissimo. Non sono poche le ragioni di scontento dei cittadini ucraini nei confronti di Zelensky: i più recenti sondaggi ci dicono che, se si andasse alle elezioni oggi, egli quasi certamente non sarebbe rieletto. In fondo sarebbe una storia che si ripete: si tratterebbe della stessa sorte toccata anche agli altri presidenti ucraini democraticamente eletti, Kuchma a parte. Stretto tra due fuochi, gli elettori che vorrebbero continuare la guerra a oltranza e le valutazioni di Realpolitik che lo indurrebbero a puntare su una exit strategy rapida, in realtà è Zelensky per primo a fiutare intorno a sé un’aria di sfiducia: lo testimoniano anche le ultime scelte ai vertici militari, tese più a crearsi una trincea di amici che ad attenersi al proposito di partenza della meritocrazia. Tutto si giocherà, in ultima analisi, sulla sua capacità di far digerire agli ucraini un eventuale trattato di pace con molte concessioni territoriali a Putin”.
– Senza guerra contro la Russia, che Ucraina sarebbe stata quella di Zelensky?
“Immagino che i riflettori sarebbero stati puntati sul suo braccio di ferro contro gli oligarchi. C’è da dire, però, che la legge preparata da Zelensky per arginarne lo strapotere è riuscita a passare proprio grazie ai poteri straordinari che lo stato di guerra gli ha conferito. Senza Putin alle porte avremmo visto uno Zelensky impegnato quasi esclusivamente nel mostrare ai concittadini e alla comunità internazionale di non essere quello sprovveduto debuttante della politica condannato, inesorabilmente, a farsi manipolare dai nemici che combatteva o addirittura a esserne il burattino, se è vero com’è vero che in fin dei conti fu proprio un oligarca il principale finanziatore della sua campagna elettorale. Ma forse non sarebbe riuscito ad affondare la lama, pur con tutta la ferocia persecutoria possibile: quella ferocia che avrebbe esercitato, per esempio, anche nei confronti dell’oligarca Poroshenko, suo predecessore e leader dell’opposizione. Invece la guerra glielo ha fatto “risparmiare”, per consentirgli di avere un prezioso alleato nella causa antirussa. Senza, non avrebbe colpito tanti oligarchi da colpire e non avrebbe salvato un oligarca da salvare”.