Benessere, schiavitù e mercati

Benché sia noto che una parte dei beni di consumo sono realizzati da manodopera che vive in regime di schiavitù, l’opinione pubblica accetta la cosa passivamente.

di Giovanni Caruselli

Nell’immaginario collettivo la schiavitù è qualcosa che si pensa legata al passato, a civiltà primitive prive di rispetto per la dignità umana. Invece ci sorprende amaramente la constatazione che il mondo non ha mai avuto tanti schiavi quanti ne ha oggi nell’epoca del benessere: più di 40 milioni nel 2017, da 46 a 50 milioni secondo le ricerche condotte in questi ultimi anni (2021).
Una parte consistente del benessere del mondo sviluppato è legato allo sfruttamento brutale di uomini, donne e bambini che vivono in povertà estrema. Essi lavorano in molti settori, come agricoltura, artigianato, pesca, estrazioni minerarie, lavori domestici. E purtroppo oggi si contano più persone ridotte in schiavitù di qualunque altro periodo storico.

Troppe donne e troppi bambini vedono violati i loro diritti per denaro.
La forma di schiavitù più diffusa è il lavoro forzato, al quale sono costretti anche donne e bambini sotto minaccia di punizione. Tre su quattro sono donne e i due terzi della schiavitù opera in Asia e nell’Africa subsahariana. Esistono poi i matrimoni forzati e la tratta di minori e di ragazze destinate alla prostituzione, spesso nei Paesi sviluppati. La schiavitù costituisce un’industria illegale essa stessa. Le analisi dell’International Labour Organisation e Walk Free Foundation calcolano in 150 miliardi di dollari l’anno i profitti che le organizzazioni criminali ricavano dalla gestione globale della schiavitù.
Tuttavia esistono strumenti che gli Stati sviluppati possono adoperare per combatterla. Alcune organizzazioni internazionali collegate all’Onu hanno mappato le aree geografiche in cui la schiavitù viene praticata. Precludendo l’accesso ai mercati ai 25 Paesi più responsabili di tollerare il fenomeno, li si costringerebbe a intervenire. 85 Paesi si sono ufficialmente impegnati a collaborare solo con aziende assolutamente trasparenti dal punto di vista della forza lavoro di cui si servono. La Ue si orienta a far “fallire” il mercato della schiavitù escludendo dai flussi finanziari i Paesi incriminati.

La schiavitù cresce anche in proporzione all’espansione demografica nei Paesi poveri.
Ovviamente gli embarghi non bastano, anzi potrebbero privare gli attuali schiavi di quel minimo che occorre per sopravvivere. Per tale ragione l’approccio deve essere complessivo e deve riuscire a responsabilizzare gli importatori, affinché richiedano ai propri fornitori il rispetto dei diritti dei lavoratori, in contrasto con la pura logica del guadagno. Per il momento i risultati sono abbastanza scarsi. Solo il fenomeno dei bambini soldato è regredito, mentre il calcolo attuale degli individui ridotti in schiavitù tocca i 50 milioni di persone. Le ondate migratorie dovute all’esplosione della bomba demografica in Africa, alle guerre civili, alla miseria e alle carestie sono sempre più frequenti e attualmente alimentano l’impiego di chi è costretto ad accettare lavori umilianti o pericolosi pur di avere la possibilità di tentare di raggiungere le zone ricche del mondo.

La società civile deve trovare i mezzi normativi, economici e culturali per affrontare nei prossimi anni un fenomeno che non può convivere con i suoi pricipi.
Ovviamente i migranti clandestini non sono protetti da alcuna legge e non possono denunciare gli abusi che subiscono se non rischiando di essere rispediti in patria. Il contrasto alla schiavitù e al lavoro forzato è menzionato nell’agenda 2030 dell’Onu soprattutto nell’ottica di costruire meccanismi preventivi che li impediscano o li rendano evidenti di fronte ai tutori della legge. Ciò risulta particolarmente difficile negli Stati in cui i sindacati sono costantemente minacciati e ostacolati nella loro attività di protezione dei lavoratori. E per finire due considerazioni vanno fatte. Una grande massa di lavoratori irregolari danneggia anche le classi lavoratrici dei Paesi sviluppati, perchè i salari inevitabilmente tendono ad abbassarsi in presenza di manodopera che si accontenta di qualunque compenso pur di non tornare in aree devastate dalle guerre e dalla violenza. In secondo luogo, la lotta a pratiche inaccettabili come quella delle spose bambine urtano frontalmente con tradizioni patriarcali millenarie che le giustificano. Dunque il solo strumento normativo spesso non è sufficiente a reprimerle. Occorre facilitare un progressivo confronto interculturale per proporre quei valori che l’Occidente considera irrinunciabili e sancite da tutte le Dichiarazioni dei Diritti.