Benvenuti nella Repubblica federale del Sud Sudan

di Enrico Oliari

Il 9 luglio non è una data come tutte le altre per la parte meridionale del Sudan: è la data dell’indipendenza, il giorno zero dell’anno zero di una nuova era. E mentre nel porto di Juba arrivano flotte di carrette galleggianti cariche di profughi sud-sudanesi ed altri ancora si riversano da nord, in alcune regioni al confine tuonano ancora gli spari fra gli ex-insorti, ormai esercito regolare, e le truppe del presidente del Sudan del Nord, Omar al-Bashir, ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità e per il genocidio commessi dalle sue truppe in Darfur.Sul palco dei dignitari per i festeggiamenti a Juba (per l’Italia il viceministro degli Esteri Alfredo Mantica) è atteso, non senza imbarazzo, lo stesso Omar al-Bashir, il quale si è visto costretto a concedere al sud del paese un’indipendenza che mai avrebbe voluto dare, dal momento che si è definitivamente visto sfuggire il controllo su ricche regioni petrolifere.La situazione è tutt’altro che tranquilla: proprio ieri l’Onu, che ha riconosciuto il 54esimo stato africano, ha deliberato una missione di 7000 caschi blu e 900 poliziotti incaricati di mantenere, se non la pace, almeno una parvenza di tranquillità, operazione tutt’altro che semplice se si pensa che mentre a New York si votava,  si registravano scontri nella contesa Abyei, ricca di oro nero, e veniva bombardato il Sud Kordofan, che gli arabi di Khartoum non vogliono perdere. L’ultima guerra civile si era protratta nella regione per oltre 20 anni ed era stata teatro di interessi di ogni genere per via soprattutto del petrolio che lo stesso Omar al-Bashir aveva assicurato a chi lo avrebbe aiutato. La Cina in particolare, già interessata a mettere le proprie bandierine rosse un po’ su tutto lo scacchiere africano, con una mano dava sostegno politico ed armi al governo di Bashir, con l’altra manteneva vivi i suoi interessi petroliferi nel sud del paese. Nonostante le ricchezze petrolifere e minerarie il Sud Sudan, che misura quanto l’intera penisola iberica e conta quasi 9 milioni di abitanti di cui solo 400 donne diplomate, il paese africano è uno dei più poveri al mondo, praticamente privo di infrastrutture e di ospedali. Già regione autonoma, ha ottenuto l’indipendenza dopo una delle guerre civili più lunghe della storia moderna del continente africano grazie ad un referendum svoltosi nel gennaio di quest’anno. Il presidente del nuovo stato è Salva Kiir Mayärdït, già tale ‘in pectore’ dal 2005 e fino ad allora vice di Capo dell’ESLP, l’Esercito Sudanese di Liberazione Popolare, guidato da John Garang.
Si calcola che fra la Prima Guerra Civile Sudanese (1955 – 1972) e la Seconda Guerra civile Sudanese (1983 – 2005), combattute entrambe dall’ ESLP, i morti siano stati 2,5 milioni, mentre i profughi sono stati 5 milioni. Esseri umani di serie ‘B’, se si pensa che gli USA, poliziotti del mondo, hanno invaso l’Iraq e l’Afghanistan in nome della pace per molto, molto meno. (10 lug 11)