di Paolo Menchi –
Il prossimo 17 agosto la Bolivia andrà alle urne per eleggere il nuovo presidente, ma il processo elettorale si sta svolgendo in un contesto di forti tensioni politiche, incertezze giuridiche e profonda instabilità istituzionale. Il Tribunale Supremo Elettorale (TSE) ha annunciato di aver ammesso dieci binomi presidenziali alla competizione elettorale, escludendo però l’ex presidente Evo Morales che, nonostante l’interdizione costituzionale a ricandidarsi, ha continuato a sostenere la propria legittimità.
Morales, 65 anni, aveva cercato di candidarsi attraverso il partito Pan-Bol, la cui personalità giuridica è stata però annullata dal TSE per violazioni di legge. Il leader storico della sinistra boliviana ha ignorato le sentenze della Corte che vietano un’ulteriore rielezione presidenziale, sostenendo la propria candidatura e appoggiando le proteste e i blocchi stradali che si stanno diffondendo in tutto il Paese. Il presidente del TSE, Óscar Hassenteufel, ha dichiarato che l’esclusione di Morales è dovuta al fatto che egli non dispone di un partito legalmente riconosciuto.
Tra i candidati approvati figura Andrónico Rodríguez, presidente del Senato, un tempo membro del partito MAS e considerato il pupillo politico di Morales. Rodríguez si è però distaccato sia dall’ex presidente che dall’attuale capo di Stato, Luis Arce. A completare il blocco di sinistra ci sono Eduardo Del Castillo, ex ministro dell’Interno (MAS), che sostituisce Arce, ritiratosi per la pressione delle proteste sociali causate dalla grave crisi economica, e la sindaca di El Alto, Eva Copa, esponente del partito Morena.
L’opposizione di destra è guidata dall’imprenditore Samuel Doria Medina (Unidad), in testa ai sondaggi con il 19,1% delle intenzioni di voto, seguito dall’ex presidente Jorge Quiroga (Libre) con il 18,4%, da Rodríguez con il 14,2%, e dal sindaco di Cochabamba, Manfred Reyes Villa (Autonomía Para Bolivia) con il 7,9%.
Nonostante la pubblicazione delle liste, il cammino verso le urne è disseminato di ostacoli. A poco più di due mesi dalla votazione, numerosi ricorsi, inabilitazioni e questioni legali stanno minacciando la partecipazione di diversi candidati e partiti. Almeno dieci ricorsi di inabilitazione potrebbero estromettere fino all’80% dei partiti registrati, evidenziando la debolezza del sistema elettorale e l’influenza della giustizia in un processo che dovrebbe essere fondato sul voto popolare e non sulle aule di tribunale.
La situazione interna dei partiti è altrettanto caotica. A complicare ulteriormente il quadro vi è la confusione su alcune candidature, come quella dell’economista liberale Jaime Dunn, outsider dei comizi, la cui presenza ufficiale è messa in dubbio da irregolarità documentali. Solo il 36% dei candidati ai seggi legislativi è stato abilitato, mentre la maggioranza è stata esclusa per documentazione incompleta. Secondo vari analisti, questa non sarebbe una coincidenza, bensì una strategia per mantenere aperti i giochi politici fino all’ultimo momento utile.
Le elezioni del 2025 rischiano quindi di svolgersi in un clima di profonda sfiducia verso le istituzioni, mentre la frammentazione del panorama politico e le tensioni interne ai partiti minano la legittimità del processo democratico boliviano.