Brasile. Aumentano le critiche al governo Bolsonaro sulle politiche ambientali

di Alberto Galvi

Dall’inizio di quest’anno da quando Jair Bolsonaro ha assunto la presidenza del Brasile, la situazione della deforestazione dell’Amazonia è peggiorata. Per capire meglio questo annoso problema, sono stati disboscati tra agosto 2017 e luglio 2018, circa 7.900 chilometri quadrati di foresta pluviale brasiliana.
Recentemente secondo i dati dell’INPE (Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais), nei primi 15 giorni di questo mese oltre 1.000 chilometri quadrati di foresta amazzonica sono stati disboscati. Dall’inizio del 2019 questo è il secondo incremento consecutivo della deforestazione dell’Amazzonia. Codeste terre bonificate vengono utilizzate per diverse attività economiche come l’industria del legname, l’allevamento del bestiame, la coltivazione dei prodotti agricoli e la creazione di infrastrutture.
Per quanto riguarda i detrattori delle politiche ambientali di Bolsonaro possono adesso approfittarsi della crescente deforestazione in Brasile per sostenere i loro argomenti contro la ratifica dell’accordo di Parigi. Si sono schierati contro le politiche negazioniste del presidente brasiliano il partito dei Verdi e 8 ex ministri dell’Ambiente al fine di combattere le misure volte a incrementare gli effetti dei cambiamenti climatici e delle emissioni di gas serra.
Bolsonaro vuole ridurre la legislazione che salvaguarda l’Amazzonia e ha attaccato i funzionari che hanno il compito di tutelare la foresta pluviale. Il leader brasiliano ha criticato le sanzioni a tutela dell’ambiente a danno degli agricoltori, incoraggiando i taglialegna, i proprietari terrieri e gli speculatori a distruggere le foreste. Per la lobby agroalimentare le aree amazzoniche che per costituzione non possono essere disboscate, creano dei problemi agli agricoltori.
Il presidente brasiliano cerca di modificare le leggi per indebolire gli strumenti di lotta alla deforestazione e contro le violazioni ambientali. Quest’ultime sono però diminuite nei primi due mesi del 2019. Il governo brasiliano ha tagliato il 95% del budget del ministero dell’Ambiente che era di 2,9 milioni di dollari destinati a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Bolsonaro è stato sconfitto al Congresso sulla modifica del codice forestale, in particolare sulla questione della demarcazione del territorio dei popoli indigeni. In Brasile vivono 900 mila indigeni divisi in 240 tribù e rappresentano circa lo 0,4% della popolazione de paese.
Gli indigeni inoltre hanno una funzione pubblica nei confronti di quelle terre, perché aiutano i pompieri a spegnere gli incendi e a pattugliare la terra indigena per identificare invasioni e disboscamenti. Il governo carioca ha riconosciuto alle popolazioni indigeni brasiliane 690 aree in cui vivere, che coprono circa il 13% della superficie del paese.
La scelta di Bolsonaro di dare pieni poteri al ministero dell’Agricoltura estromettendo di fatto il FUNAI (Fundação Nacional do Índio) e trasferendo le sue funzioni al ministero delle Donne, della Famiglia e dei Diritti Umani, è stata duramente criticata dalle comunità indigene, perché calpestano i loro diritti.
Molto importante in Brasile è la lobby mineraria, anch’essa legata alle politiche ambientali al fine della concessione di licenze minerarie. Quando però viene iniziato un progetto minerario di una certa importanza, vengono creati posti di lavoro, strade, case, aeroporti, ecc.
Per meglio capire la complicità della politica in questo settore bisogna ricordare la rottura della diga di Brumadinho, che ha provocato almeno 99 morti e 259 dispersi e che mostra l’incuria e il disprezzo per la vita e l’ambiente della società mineraria Vale che ha contato per decenni sulla complicità di diversi governi e della magistratura.
Anche la lobby delle armi è strettamente legata alla lobby agroalimentare. Le grandi industrie della soia e del grano, promuovono l’uso di armi alla popolazione rurale brasiliana, per diminuire il numero di invasioni di haciendas da parte di contadini senza terra e per porre fine alle leggi che proteggono le politiche ambientaliste.
L’aumento della deforestazione dell’Amazonia pone un freno agli impegni ambientali che facevano parte dell’accordo raggiunto il mese scorso, tra il Mercosur e l’Unione europea. L’accordo deve essere ora ratificato dai paesi membri dei 2 blocchi.
Per quanto riguarda gli agricoltori europei temono la concorrenza del Brasile, i cui requisiti ambientali sono meno rigorosi di quelli europei. Con gli accordi raggiunti col Mercosur, l’Unione europea ha mandato un forte segnale a Trump sulla contrarietà europea alle sue misure protezionistiche, soprattutto in materia di dazi doganali.
Il Mercosur e i paesi dell’Unione europea vogliono aumentare le esportazioni e massimizzare l’accesso ai mercati. Per l’uscente leadership europea l’accordo commerciale con il Mercosur è stato il terzo per importanza dopo quelli ottenuti con Canada e Giappone. Per il Brasile invece il suo interesse maggiore è quello di espandere le relazioni con il suo primo partner commerciale, la Cina.
In questo momento per il Brasile allinearsi completamente con gli Stati Uniti sui temi ambientali e commerciali non sembra essere la soluzione più conveniente. Il Brasile si trova così nel bel mezzo della guerra commerciale tra le 2 superpotenze.
Nonostante Bolsonaro si sia ritirato dalle sue posizioni più estreme sui cambiamenti climatici, come uscire dall’accordo di Parigi, il presidente brasiliano e i membri del suo governo hanno rinnovato il loro appoggio alle lobby agroalimentare, mineraria e delle armi, in cambio del loro sostegno durante la campagna elettorale delle presidenziali.