Brasile. Canne libere, o quasi

di Francesco Giappichini

Il Supremo tribunal federal (Stf) del Brasile ha pronunciato un’importante sentenza sul tema delle droghe leggere. Una decisione che ha calamitato l’interesse dell’opinione pubblica, poiché la questione è strettamente legata alla necessità di contrastare le facção criminali e il loro antistato. Del resto secondo fonti governative, quasi un terzo dei detenuti brasiliani è accusato di reati di droga. In sintesi si dispone la liberalizzazione del consumo della marijuana, maconha in portoghese; si è cioè aggiornata la disciplina della Lei de Drogas del 2006, che se escludeva la reclusione per il possesso, lasciava però inalterata la rilevanza criminale della condotta, e imponeva la pena della prestazione di servizi alla comunità.
Sul piano giuridico il Tribunale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 28 della citata legge, che punisce chi acquista, conserva o trasporta droghe per uso personale. Con questa decisione il possesso di cannabis si trasforma in illecito amministrativo, e il consumatore non incorrerà in conseguenze penali; non potrà essere sottoposto a processo, né sarà soggetto alla citata sanzione della «prestação de serviços à comunidade». Continueranno tuttavia a essere imposte sanzioni amministrative di tipo educativo, come l’obbligo di frequentare corsi sulla tossicodipendenza. Va da sé che le forze dell’ordine sono ancora tenute al sequestro delle sostanze, né si affronta la questione cruciale della vendita, che continua a essere proibita.
L’intervento dell’Stf ha in verità risposto all’esigenza di stabilire dei parametri univoci, volti a differenziare i consumatori dai trafficanti. In questo modo, secondo i giudici, si punta a rendere uniformi gli interventi della Polizia, e a evitare che cittadini con la stessa quantità di stupefacente, siano trattati diversamente. Così il Supremo tribunal, sino a che non sarà emanata una legge ad hoc, indica un parametro indicativo, ovvero 40 grammi di cannabis sativa, che consentirà di distinguere l’uso personale dallo spaccio. Come accennato, il parametro vale come indicatore, così non eviterà conseguenze penali chi detiene meno di 40 grammi, ma è trovato in possesso di un’arma.
La misura divide la società civile e la politica. Le destre sono convinte che la proibizione rappresenti un fattore inibitorio decisivo, ed auspicano un intervento legislativo che inverta questa rotta. Nello specifico si cercherà di far passare un emendamento alla Costituzione, che farebbe etichettare come reato la detenzione di ogni quantità di droga. I favorevoli fanno invece notare che la sentenza ridurrà le discriminazioni contro la popolazione meno abbiente e di colore, come fa notare il presidente dell’Stf, Luís Roberto Barroso: «In assenza di criteri, la stessa quantità di droga nei quartieri più eleganti delle città brasiliane viene trattata come consumo e, nelle periferie, come traffico. Ciò che vogliamo è che finisca questa discriminazione tra ricchi e poveri, sostanzialmente tra bianchi e neri». Tra gli altri argomenti a favore, oltre al principio libertario di autodeterminazione, l’evidenza che il proibizionismo non è stato in grado di ridurre consumo e narcotraffico. Le sinistre non sono tuttavia compatte, nella crociata anti proibizionista. Mentre alcuni ministri si sono opposti all’attuale criminalizzazione, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva ha manifestato posizioni ondivaghe. E Cristiano Zanin, “toga rossa” nell’Stf, si è addirittura pronunciato contro la depenalizzazione.