Brasile. La Spagna respinge l’estradizione dell’ influencer bolsonarista Oswaldo Eustaquio

di Giuseppe Gagliano –

In un verdetto destinato a far discutere, la giustizia spagnola ha respinto la richiesta di estradizione presentata dal Brasile nei confronti del controverso influencer Oswaldo Eustaquio, figura di spicco nell’universo mediatico bolsonarista e accusato in patria di cospirazione e attività antidemocratiche. Per la Terza Sezione della Corte Penale del Tribunale Nazionale, i capi d’imputazione sono carichi di una “chiara connotazione politica”, tale da rendere l’estradizione “inappropriata”.
La decisione ha scatenato la reazione immediata del governo di Lula, che ha annunciato ricorso presso le autorità spagnole, ricordando che i reati contestati a Eustaquio, tra cui istigazione a delinquere, ostruzione alla giustizia, corruzione di minori e diffusione di dati riservati, rientrano pienamente nei criteri stabiliti dal trattato bilaterale del 1990. Tuttavia, la Corte iberica ha ritenuto che l’intera vicenda si iscriva in un contesto politico ben definito: quello della mobilitazione delle cosiddette “milizie digitali” pro-Bolsonaro contro l’attuale governo democraticamente eletto.
Per la magistratura spagnola il blogger non è solo un presunto criminale, ma un attore politico all’interno di uno scontro ideologico che travalica la giurisdizione penale. Durante l’udienza, Eustaquio si è presentato come una “vittima politica”, richiamando tre arresti subiti in Brasile e denunciando maltrattamenti. La Procura ha evocato anche il rischio concreto di torture in caso di estradizione, sottolineando che molti degli atti contestati sarebbero, nel contesto spagnolo, tutelati dal diritto alla libertà d’espressione.
Tale interpretazione giuridica si inserisce in un contesto latinoamericano sempre più segnato dalla polarizzazione. In Brasile, Eustaquio è un tassello centrale dell’inchiesta sulle reti digitali che avrebbero cercato di delegittimare le elezioni del 2022, in parallelo con un progetto eversivo orchestrato, secondo l’accusa, dallo stesso Jair Bolsonaro. L’ex presidente, oggi formalmente accusato di tentato golpe, appartenenza a un’organizzazione criminale e incitamento alla violenza, rischia fino a 40 anni di carcere.
Le indagini in corso, senza precedenti nella storia democratica del Brasile, coinvolgono anche alti ufficiali dell’esercito e membri dello staff presidenziale, accusati di aver sostenuto attivamente un piano per sovvertire l’ordine costituzionale, fino a ipotizzare, secondo la Procura, l’eliminazione fisica del presidente Lula e del giudice Moraes.
In questo scenario, il caso Eustaquio non è solo un episodio giudiziario, ma un campo di battaglia ideologico e giuridico tra due visioni del potere: da un lato, il Brasile democratico che cerca di processare i protagonisti di un assalto alla Repubblica; dall’altro, una Spagna che, nel nome delle garanzie processuali, riconosce la natura politica del conflitto e rifiuta di consegnare un presunto attivista all’autorità richiedente.
Un caso che, al di là del destino individuale dell’imputato, solleva interrogativi profondi: dove finisce la libertà d’espressione e dove inizia il sabotaggio della democrazia? E qual è il limite, per le democrazie occidentali, tra il dovere di cooperare e quello di proteggere?