Brexit. Impatti geopolitici e geoeconomici

di Massimo ortolani

La Ue ha dato il via ad un’azione legale di messa in mora contro il governo britannico, per la sua decisione di riscrivere parti del trattato di recesso e in tal modo violare la legge internazionale. Il disegno di legge sul mercato interno, ideato “in mala fede” secondo la presidente von der Leyen, darebbe il potere a ministri britannici di riscrivere sezioni del testo sull’Irlanda del Nord, così da non riuscire ad evitare il ritorno di un conflitto interno sull’isola. Un comportamento giudicato non conforme anche da esponenti dello stesso partito conservatore.
Al momento Downing Street, da una parte trincerandosi dietro l’esigenza di creare una zona di sicurezza a tutela dell’integrità del mercato interno della Uk, non sembra intenzionata a rispondere alla Ue entro 30 giorni, dall’altra intende però continuare i negoziati bilaterali con la Ue per raggiungere l’anelato accordo entro il 31 dicembre. I tempi dunque appaiono strettissimi. Sia per concordare una modifica della legge, stante il rifiuto del Parlamento europeo di ratificare l’accordo senza di essa, sia per fare ratificare entro tale data da tutti i paesi membri accordo, eventualmente raggiunto. Ma vi è anche un ulteriore e pesante ostacolo su tale percorso, e facile da comprendersi pensando agli stretti rapporti tra Washington e Dublino e all’influenza politica negli States dei celebratori della festa di San Patrizio. Ovvero il netto impegno della Casa Bianca a vedere preservati gli attuali accordi del Venerdi santo, che escludono il ritorno ad un confine interno all’Irlanda, con tutte le tensioni che ne conseguirebbero. Una posizione sulla quale sembra fermamente allineato anche il candidato presidenziale Biden.
Spingere per un ulteriore ristrettezza dei tempi tecnici della negoziazione potrebbe tuttavia essere interpretato come una strategia negoziale, volta a spuntare maggiori concessioni da parte della Ue sui due punti di disaccordo, che vertono sugli aiuti di stato e sui termini di condivisione dei mari britannici per i pescherecci europei.
Va da sè che il tema degli aiuti di stato presenta una rilevanza geopolitica che non sarebbe esagerato definire geostrategica. Dato che la Gran Bretagna vorrebbe continuare a partecipare al mercato unico senza essere tenuta ad applicare le regole sul fronte dei sussidi. Ma una Londra svincolata dalle limitazioni normative attualmente vigenti nella Ue in tema di aiuti di stato, ancorchè di recente ammorbidite per consentire agli paesi membri un più efficace contrasto antipandemico, potrebbe facilmente essere tentata dall’instaurare un ben più esteso regime di aiuti alle imprese, creando in tal modo un fattore di concorrenza (sleale) difficilmente superabile da quelle dell’Unione. E ciò in particolare se si tiene conto dei processi di reshoring in atto nelle catene del valore, che potrebbero appunto beneficiare la Gran Bretagna a scapito di molti stati Ue, ed in particolare di quelli dell’est europeo.
In relazione ai temi dell’accordo Uk-Ue in discussione entro fine anno, è bene ricordare che il 3 febbraio 2020 la Commissione aveva adottato un progetto di direttive di negoziato globali per un nuovo partenariato con la Gran Bretagna, concernente tutti i settori rilevanti ai fini negoziali: cooperazione commerciale ed economica, politica estera, sicurezza e difesa, partecipazione ai programmi dell’Unione e ad altri ambiti di cooperazione tematica, cooperazione nelle attività di contrasto e giudiziarie in materia penale. Si tratta di materie in parte comuni anche ad altre forme di accordi internazionali sottoscritti dall’Unione.
Ad oggi la Ue risulta infatti essere firmataria dei trattati per lo spazio economico europeo (come quello con la Norvegia e l’ Islanda), la cui finalità è quella di estendere il mercato interno dell’Ue ai paesi dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA). Oltre a gestire anche diversificati accordi con numerosi altri paesi, riconducibili sia alle unioni doganali (la più importante con la Turchia), che ad accordi di libero scambio (FTA), come quello con la Svizzera del 1972, ampliato dai successivi accordi bilaterali del 1999 e del 2004. Sullo specifico piano geoeconomico delle clausole attinenti la libera circolazione delle merci e delle persone, non si può pertanto escludere che qualcuno di tali paesi possa avanzare pretese di condizioni migliorative ed equivalenti a quelle che fossero eventualmente accordate alla Gran Bretagna.
Qualora invece l’accordo non sia raggiunto entro il 31 dicembre, il Regno Unito non sarà più parte del territorio doganale e fiscale (IVA e accise) dell’Unione Europea, e la circolazione delle merci tra UK e UE verrà pertanto considerata commercio con un paese terzo. Il governo italiano ha comunque da oltre un anno predisposto una dettagliata informativa su tale evenienza, analizzandone i prevedibili impatti su 29 aree tematiche di carattere economico, doganale, finanziario, fiscale, ecc. E in cui sottolinea con chiarezza che, per evitare perturbazioni, le imprese coinvolte devono necessariamente prepararsi, prendere le decisioni del caso e completare tutte le procedure amministrative necessarie prima dalla data di uscita. Stando ad alcune interpretazione delle ripercussioni di un no deal, i mercati finanziari non ne verrebbero gran che colpiti, in quanto avrebbero già prezzato (scontato) anche un tale scenario.
Tuttavia se è vero, come qualche osservatore rileva, che pur in presenza di accordo la messa in pratica di dettagli minori potrebbe generare criticità operative, per la lentezza degli apparati burocratici a recepirli, si ha fondato motivo di dubitare di una tale previsione. Che potrebbe non tenere nel giusto conto gli effetti dell’imperversare della pandemia sul territorio inglese, sia sul PIL che sul rilevante flusso commerciale con l’Unione.
L’uscita definitiva dalla UE di uno dei principali attori dell’anglosfera, come la Gran Bretagna, potrebbe risultare benefica sul piano geopolitico e geoeconomico, nella misura in cui consente il venire meno di quello che si è storicamente rivelato come un fattore fortemente limitante la volontà e la capacità di affermazione di una politica estera comunitaria. Con conseguente maggiore grado di libertà per la nostra diplomazia politica ed economica di svolgere, nell’interesse nazionale, un ruolo più importante tra le prime due potenze nazionali Ue, di Germania e Francia.