Brics. L’oro corre, le banche centrali accumulano e il dollaro traballa

di Giuseppe Gagliano

Mentre il mondo affronta incertezze geopolitiche sempre più gravi, l’oro continua la sua corsa. A metà febbraio la quotazione dell’oncia ha sfiorato i 2.800 dollari, e gli analisti si interrogano: siamo vicini a un nuovo record sopra i 3.000 dollari o assisteremo a un crollo improvviso? Una cosa è certa: le grandi potenze economiche si stanno preparando a un possibile tramonto del dominio del dollaro.
Non si tratta più solo di un riflesso della paura degli investitori, ma di una strategia deliberata portata avanti da attori globali, primi fra tutti Russia, Cina e i paesi BRICS, che stanno rastrellando oro come mai prima. 1.600 tonnellate comprate segretamente da Pechino, 160 tonnellate accumulate da Riad, la tendenza è chiara: diversificare le riserve ed evitare di restare ostaggio delle sanzioni e delle pressioni finanziarie occidentali.
Per decenni gli Stati Uniti hanno usato il dollaro come arma geopolitica, sfruttando il controllo sui circuiti finanziari internazionali. Ma le cose stanno cambiando. Se nel 2000 il 72% delle transazioni globali era in dollari, nel 2024 la percentuale è scesa al 58,4%. Un calo che non è solo statistico, ma un segnale che molte economie stanno cercando alternative.
L’invasione russa dell’Ucraina e le sanzioni conseguenti, come il congelamento di 300 miliardi di dollari di riserve russe, hanno spinto molti paesi a interrogarsi: se oggi è toccato a Mosca, domani chi sarà il prossimo? Così, l’oro è diventato l’assicurazione contro il rischio geopolitico, perché a differenza del dollaro non può essere bloccato con un semplice ordine della Casa Bianca.
I numeri parlano chiaro: oltre il 20% delle riserve aurifere mondiali oggi è nelle mani dei BRICS e dell’Egitto. La Cina ha accumulato quasi quanto la Germania (2.264 tonnellate contro 3.351), la Russia è la quinta detentrice mondiale con 2.335 tonnellate e l’India segue con 840 tonnellate.
Questa corsa è tutt’altro che finita. Secondo un sondaggio del World Gold Council, il 60% delle banche centrali dei paesi emergenti prevede di aumentare le proprie riserve nei prossimi cinque anni, contro il 38% di un anno fa. Un dato che dimostra come il mondo si stia preparando a un sistema più frammentato, con meno fiducia nel dollaro e più peso per le valute alternative e gli asset fisici.
Dietro questi movimenti si cela un progetto ambizioso: creare una moneta comune BRICS sganciata dal dollaro. Durante il vertice di Kazan, nell’ottobre 2024, si è discusso della creazione di una valuta sostenuta per il 40% dall’oro e per il 60% da un paniere di valute nazionali. L’idea non è ancora diventata realtà, ma i movimenti dei mercati suggeriscono che sempre più paesi vogliono liberarsi dal dominio finanziario occidentale.
Gli USA e l’Europa sottovalutano il problema? Forse. Ma mentre l’Occidente si concentra sulle proprie crisi politiche ed economiche, una nuova architettura finanziaria globale sta prendendo forma. E al centro di tutto c’è lui, il metallo giallo, l’unico che nei secoli ha sempre mantenuto il suo valore.