Canada. Accordi di cooperazione con l’Australia per le terre rare

di Giuseppe Gagliano –

Durante il vertice G7 a Toronto, il governi di Australia e Canada hanno sottoscritto un importante accordo di cooperazione per garantirsi le materie prime necessarie alla transizione energetica e alla sicurezza tecnologica. Litio, nichel, cobalto, grafite e terre rare sono diventati le nuove armi della competizione globale. Canberra e Ottawa intendono usarle per rafforzare l’autonomia dell’Occidente e ridurre la dipendenza dalla Cina, che controlla oltre il 70% della raffinazione mondiale.
Il ministro australiano delle Risorse, Madeleine King, e il suo omologo canadese, Tim Hodgson, hanno parlato di “catene di approvvigionamento resilienti”, un linguaggio che maschera una verità geopolitica: il tempo del commercio libero è finito. Come ha affermato il premier canadese Mark Carney, il mondo “liberalizzato e basato su regole” non esiste più. Ciò che conta oggi è la sicurezza delle forniture e la capacità di controllare i nodi strategici della produzione. Il valore dei minerali critici non è più solo economico ma politico, militare e tecnologico. Ogni grammo di litio o di neodimio rappresenta un vantaggio industriale, una leva diplomatica o un potenziale ricatto.
L’intesa tra i due Paesi anglofoni segue quella firmata a ottobre tra Australia e Stati Uniti, anch’essa volta a contrastare il dominio cinese. L’obiettivo è creare un “circuito chiuso” occidentale, in cui estrazione, raffinazione e commercio restino sotto il controllo dei partner del G7. Canberra dispone di enormi riserve di litio e terre rare, mentre il Canada offre nichel, cobalto e capacità di raffinazione. Insieme, possono garantire all’industria occidentale l’accesso alle materie prime essenziali per batterie, semiconduttori e turbine eoliche. L’accordo, dunque, non è solo economico: è parte integrante della strategia di contenimento di Pechino.
Pechino osserva con crescente diffidenza questi movimenti. La Cina è stata finora il principale acquirente delle risorse australiane e canadesi, ma le tensioni politiche hanno spinto entrambi i Paesi a diversificare. L’annuncio della prossima visita del premier cinese Li Qiang in Australia, previsto per il 2026, è un tentativo di riaprire canali politici e commerciali. Tuttavia, il governo di Anthony Albanese non sembra disposto a rinunciare al nuovo asse occidentale. L’invito a Li Qiang, che includerà simbolicamente una tappa a Uluru, ha il sapore di un gesto diplomatico più che di una reale distensione.
Parallelamente, il Canada tenta di bilanciare la propria politica estera, cercando un dialogo con Xi Jinping dopo anni di tensioni. Ma il contesto è cambiato: Ottawa non può più ignorare i rischi di una dipendenza eccessiva da Pechino, né la pressione di Washington che chiede allineamento strategico.
Dietro la retorica della “cooperazione verde” si nasconde una guerra economica per l’egemonia tecnologica. I minerali critici sono il cuore delle catene del valore del XXI secolo: senza di essi non esistono batterie, intelligenza artificiale, telecomunicazioni né difesa avanzata. L’Australia e il Canada, pur geograficamente distanti, condividono una stessa visione: diventare fornitori strategici dei Paesi alleati e trasformare la loro ricchezza naturale in capitale geopolitico.
Questo processo, però, non è privo di contraddizioni. Entrambi i Paesi devono affrontare il dilemma tra sostenibilità ambientale e sfruttamento intensivo, tra sovranità economica e pressioni degli alleati. La corsa ai minerali rischia di generare nuovi squilibri interni: conflitti con le comunità indigene, impatti ecologici e tensioni sociali nelle aree minerarie.
Per Ottawa, la sfida è duplice. Da un lato, ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, che restano il principale mercato e interlocutore politico; dall’altro, evitare di sostituirla con una nuova dipendenza dalla Cina. Carney ha promesso di raddoppiare le esportazioni non statunitensi nel prossimo decennio, ma il percorso è stretto: le dispute sui dazi con Washington e le ritorsioni commerciali di Pechino sul settore agroalimentare mostrano quanto fragile sia la posizione canadese. L’arresto di cittadini canadesi in Cina e le accuse di interferenze elettorali hanno ulteriormente deteriorato il clima politico, rendendo ogni riavvicinamento rischioso.
L’accordo di Toronto segna quindi la nascita di un asse atlantico-pacifico tra democrazie delle risorse. Australia e Canada vogliono essere le nuove “Arabie Verdi” dell’Occidente: esportatori di energia critica per la transizione ecologica e per la sicurezza militare. Ma dietro la narrativa ambientalista si muove la logica della potenza. L’alleanza mineraria è, di fatto, un fronte economico del nuovo bipolarismo globale: Stati Uniti e alleati da un lato, Cina e suoi partner dall’altro.
La guerra del futuro non si combatterà solo con carri armati e droni, ma con catene di approvvigionamento, accordi di estrazione e diritti di concessione. Australia e Canada hanno capito che possedere risorse significa possedere influenza. Ma ogni nuova dipendenza – anche tra alleati – resta una vulnerabilità potenziale. L’autonomia energetica e tecnologica è oggi la forma più alta di sovranità. Ed è su questa frontiera, silenziosa e strategica, che si gioca la vera guerra del XXI secolo.