Ciad. Arrestato il leader dell’opposizione Masra

di Giuseppe Gagliano

All’alba, quando la capitale del Ciad è ancora avvolta nel silenzio, un gruppo di uomini armati in uniforme militare irrompe nella casa di Succès Masra, ex primo ministro e leader dell’opposizione. Le immagini del video di sorveglianza sono un pugno nello stomaco: Masra, circondato da oltre dieci soldati, viene portato via con la forza. Nessuna spiegazione, nessun mandato esibito. Solo il rumore delle porte sfondate e la voce del partito “Les Transformateurs” che grida al sopruso: “Il nostro presidente è stato prelevato con la forza”.
Il procuratore Oumar Mahamat Kedelaye conferma l’arresto, parla di un mandato eseguito dalla polizia giudiziaria, ma tace sui motivi e sul luogo di detenzione. Una conferenza stampa è promessa, ma le risposte latitano. Intanto, il Ciad, un Paese che ha conosciuto più colpi di Stato che elezioni libere, sembra scivolare di nuovo nel copione di sempre: il potere si difende con le manette, l’opposizione con la denuncia.
Masra, 41 anni, economista formatosi tra Francia e Camerun, non è un nome qualunque. È l’uomo che ha sfidato Mahamat Idriss Deby Itno, il presidente che guida il Paese dal 2021, dopo la morte del padre Idriss, al potere per tre decenni. Nelle elezioni del maggio 2024, Masra aveva gridato alla frode, rivendicando la vittoria contro il 60% ufficiale di Deby. Le sue dimissioni da premier, prima dell’insediamento del presidente, erano state un atto di rottura, un segnale che non avrebbe chinato la testa. E ora, questo arresto, che sa di rappresaglia.
Il contesto non è casuale. Il Ciad, primo tra i Paesi del Sahel a uscire da una transizione militare con elezioni, porta ancora le cicatrici di una democrazia fragile. Deby, salito al potere in modo che molti chiamano incostituzionale, non ha mai conquistato il cuore della piazza. La repressione del 2022, con 128 morti durante proteste contro il ritardo delle elezioni, è una ferita aperta. E le parole di Masra, che il 29 aprile accusava Deby di tradire l’accordo di Kinshasa per una transizione vera, devono aver colpito un nervo scoperto. “Commenti oltraggiosi”, li hanno definiti i fedelissimi del presidente. Oggi, quelle parole sembrano essere costate la libertà al leader dell’opposizione.
Ma c’è di più. Il Ciad è un vulcano pronto a eruttare. Solo il giorno prima dell’arresto, 35 persone sono morte in scontri nel villaggio di Mandakao, a Logone occidentale. Il governo parla di “atti barbari” e promette giustizia, ma la violenza è il sintomo di un Paese dove la sicurezza è un miraggio. La presenza di gruppi islamisti nel Sahel, le tensioni etniche, la povertà endemica: tutto si somma, rendendo il controllo di Deby sempre più precario. Arrestare Masra, in questo senso, è un tentativo di zittire una voce che potrebbe incendiare gli animi. O, forse, un errore che rischia di ottenere l’effetto opposto.
Cosa succederà ora? I sostenitori di Masra promettono battaglia, ma il loro leader è nelle mani di un sistema che non ama il dissenso. La comunità internazionale, che ha chiuso un occhio su molte delle mosse di Deby, potrebbe limitarsi a tiepide condanne. Il Ciad, strategico per la lotta al terrorismo nel Sahel, è troppo importante per essere isolato. Eppure, ogni arresto, ogni repressione, allontana il sogno di una democrazia che non sia solo un’etichetta. Masra, dalla sua cella, lo sa meglio di chiunque altro: in un Paese dove il potere si eredita e la libertà si paga, cambiare rotta è una scommessa che si gioca con la vita.