di Giuseppe Gagliano –
Nel cuore dell’Africa, ai margini dell’attenzione occidentale, si sta consumando un dramma che rischia di travolgere non solo il Sudan in fiamme, ma anche il fragile equilibrio del Ciad. Le parole pronunciate al Consiglio di Sicurezza da Abdou Abarry, rappresentante speciale dell’ONU per l’Africa centrale, sono state chiare: il conflitto sudanese sta trasformando il Ciad in una trappola umanitaria, logorata da una crisi che la comunità internazionale continua a ignorare.
Secondo i dati dell’UNHCR, sono già 1,2 milioni i rifugiati sudanesi che si sono riversati nella parte orientale del Paese. Fuggono da una guerra fratricida che, dal 15 aprile 2023, vede contrapposti due ex alleati: Abdel Fattah al-Burhan, capo dell’esercito regolare, e Mohamad Hamdan Dagalo, detto Hemedti, a capo delle RSF (Rapid Support Forces), una milizia paramilitare che si è trasformata in esercito parallelo grazie a finanziamenti esterni. In particolare un rapporto delle Nazioni Unite del gennaio 2024 ha definito “credibile” il sospetto di un coinvolgimento diretto degli Emirati Arabi Uniti, che attraverso aeroporti in Ciad avrebbero facilitato la consegna di armi alle RSF, violando l’embargo internazionale. Abu Dhabi ha negato ogni accusa, ma nel marzo 2025 il Sudan ha deciso di portare il caso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia.
Mentre le capitali europee restano in silenzio, il Ciad affronta una crisi a più livelli: quella della sicurezza, quella umanitaria e quella politica. Nonostante le promesse di stabilizzazione post-golpe, N’Djamena è costretta a gestire una pressione migratoria senza precedenti, in un contesto segnato da scarsi mezzi, infrastrutture al collasso e la persistente minaccia jihadista nel Sahel. Le autorità locali, sostenute da alcune agenzie ONU, cercano di mantenere l’ordine e fornire aiuti, ma il sistema è ormai vicino al punto di rottura.
Come se non bastasse, sullo sfondo si addensano le ombre di nuove tensioni regionali: le relazioni tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo sono sempre più tese, con il rischio di un effetto domino che potrebbe coinvolgere l’intera Africa centrale. Gilberto da Piedade Veríssimo, presidente della Comunità economica degli Stati dell’Africa centrale (ECCAS), ha parlato apertamente di una crisi sistemica, dove il moltiplicarsi dei fronti aperti e degli sfollamenti, oltre 13 milioni nella regione, rischia di sfuggire al controllo.
Nell’indifferenza dell’occidente, occupato a sostenere guerre lontane o a difendere interessi strategici nel Pacifico, l’Africa muore lentamente, vittima di interferenze esterne, disattenzione diplomatica e guerra per procura. Il Ciad, in questo scenario, è l’ennesimo Paese sacrificato sull’altare dell’instabilità africana: troppo piccolo per contare, troppo strategico per non essere usato.












