di Giuseppe Gagliano –
La conferenza di Lianyungang 2025 ha rappresentato un passaggio strategico nella volontà di Pechino di ridefinire la governance della sicurezza pubblica globale. Non più soltanto un forum tecnico, ma una vetrina diplomatica per presentare iniziative concrete che rientrano nella più ampia visione di un “nuovo ordine di sicurezza globale” promosso dal presidente Xi Jinping.
La Cina propone una sicurezza non più dominata dai Paesi occidentali, fondata sulla cooperazione statale, sul rispetto delle “diversità culturali” e sulla priorità della stabilità politica rispetto ai modelli liberali di governance.
Pechino insiste sull’integrazione tra sviluppo economico e sicurezza, sostenendo che la prosperità delle infrastrutture – porti, reti digitali, corridoi energetici – richiede meccanismi comuni di sorveglianza e risposta alle emergenze.
La conferenza ha dato spazio a progetti di condivisione dati per il contrasto al terrorismo, alla criminalità organizzata e alla gestione delle catastrofi naturali, ma con un’impostazione fortemente statocentrica: priorità all’ordine e alla continuità dei regimi, con minore enfasi sui diritti individuali.
Nella visione di Pechino, i Paesi del Sud globale – dall’Asia centrale al Medio Oriente, dall’Africa al Sud-est asiatico – dovrebbero beneficiare di formazione, tecnologie di sorveglianza e cooperazione giudiziaria cinesi. È una strategia di soft power che mira a costruire dipendenze tecnologiche attraverso piattaforme digitali, reti di telecamere intelligenti, sistemi di analisi predittiva e accordi di scambio dati.
Questa offerta viene presentata come alternativa alle soluzioni occidentali e come contributo a un “multilateralismo equo”, ma di fatto rafforza l’influenza politica di Pechino sulle infrastrutture critiche dei Paesi partner.
Dietro l’enfasi sulla cooperazione si intravede il progetto cinese di contestare il primato normativo occidentale. Attraverso la sicurezza pubblica globale, Pechino cerca di fissare standard tecnologici, giuridici e operativi che possano diventare il riferimento per molti Stati non allineati, ampliando così il proprio raggio di influenza senza dover ricorrere a basi militari.
Lianyungang 2025 dimostra come la sicurezza, nell’era post-pandemica e digitale, stia diventando un bene pubblico globale conteso tra potenze in competizione.
La Cina propone soluzioni che promettono stabilità e investimenti infrastrutturali in aree fragili, ma al prezzo di un modello di governance che riduce lo spazio per le libertà civili e accresce la dipendenza tecnologica dai fornitori cinesi.
Per i Paesi in via di sviluppo l’offerta appare attraente – minori costi, tecnologie pronte all’uso, sostegno finanziario – ma implica rischi di asimmetria strategica e di erosione della trasparenza democratica.
Lianyungang ha segnalato con chiarezza che la competizione per la leadership della sicurezza globale non si gioca più solo con le flotte militari o i trattati difensivi, ma anche attraverso reti di sorveglianza, dati biometrici e norme internazionali sulla sicurezza pubblica.
Resta da vedere se le potenze occidentali sapranno offrire alternative credibili e sostenibili che non si limitino a criticare il modello cinese, ma sappiano competere sul terreno delle regole e delle tecnologie, preservando principi di trasparenza e diritti umani.












